Roma, lunedì 1 luglio 2013 – Matrimonio che “passione” è lo spettacolo della Compagnia “Extra Omnes”per la regia di Marco Bellocchi, che è andato in scena al Teatro Trastevere il 22 e 23 giugno. In 90 minuti di recitazione si seguono sul palco più storie, due delle quali, liberamente tratte da “La domanda di matrimonio” di Anton Cecov e da “Il sistema di vivere in pace” di Georges Courtline. Il filo rosso che lega i brani messi in scena è il matrimonio e i suoi compromessi, raccontati in commedia dai cinque protagonisti: Stefano Angelini, Marco Bennicci, Paola Beretta, Giorgia Staiano e Claudio Capacetti.

Il prologo anticipa l’evoluzione tipica della vita matrimoniale: all’inizio si amano i difetti dell’altro, ma con l’andar del tempo, diventano insopportabili. Si parte con Cecov e la “fatidica” domanda da fare alla sposa: un nevrotico possidente russo vorrebbe chiedere in moglie la figlia del vicino di casa, donna istruita e “zitella” capace di alimentare polemiche infinite su inezie. Alla fine i due si sposeranno ma le premesse non sono certo delle migliori. Segue un brano originale e contemporaneo: due novelli sposi discutono animatamente “via mail” per poi riappacificarsi di persona. Le cose si complicano nel successivo pezzo di Courtline: dopo alcuni anni di convivenza, i difetti dell’altro, in questo caso di una moglie spendacciona, destabilizzano il menage familiare e i tentativi di riportare equilibrio nella coppia, compiuti dal marito, sono vani e fallimentari. “Però mi vuole bene” è la divertente conclusione, riedizione del brano cantato del “Quartetto Cetra”.

Leggero e ben articolato, lo spettacolo non ha scenografia, un po’ perché le dimensioni del teatro non la permettono, un po’ perché, in fondo, parlando di sensazioni, non gli è necessaria. Con un buon gioco di luci si riescono a focalizzare e sottolineare i cambi di atmosfera. Il tentativo, più o meno riuscito, dello spettacolo è quello di mettere in fila, dandogli un ordine cronologico, il mutare degli stati d’animo nel rapporto di coppia, in modo ironico. Sorvolando sugli inevitabili anacronismi dovuti alla scelta dei testi datati, un po’ di leggerezza in più, si poteva ottenere, inserendo un punto di vista femminile e allontanandosi dagli stereotipi della donna polemica, piagnucolona, dalle mani bucate e inconsapevolmente innamorata. Si strappa un sorriso, anche alle donne, ma si lascia un po’ di amaro in bocca: sono luoghi comuni che non le rappresentano più e, forse, mai l’hanno fatto.

Fiona Serrelli

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