Roma, lunedì 23 settembre 2013 – Un tavolinetto basso a sinistra del palco, con un termos di acqua fumante e un contenitore di chimarrão. Da uno spazio scenico a quinte e fondale nero affiora, in abito bianco e sciarpa castagno a costine avorio, uno fra i più grandi chitarristi della terra, il giovane brasiliano Yamandu Costa. Davvero particolare l’atmosfera del concerto di Yamandu all’Auditorium Parco della Musica del 16 di settembre, all’interno di “Festival Brasil!”, una rassegna dedicata alla promozione della cultura brasiliana nel mondo, ideata dall’Ambasciata del Brasile di Roma in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma. Un clima familiare in cui l’artista, rivelando innegabili doti comunicative, conversa spontaneamente con il pubblico, in lingua portoghese, raccontando episodi della sua vita e l’origine della sua musica, per poi eseguire sonorità sofisticate ma a forte matrice popolare. Come a celebrare uno dei riti della tradizione del gaucho, Yamandu sorseggia il chimarrão – bevanda vitaminica tipica dei territori del Sud America – in compagnia degli astanti, quale atto di condivisione e d’integrazione fra culture.

 Yamandu è nato in Brasile, nello Stato del Rio Grande Do Sul, un territorio di frontiera in cui è fortemente presente la cultura del gaucho. Egli, dell’abitante della Pampa, come da tradizione, impersona il fare burlesco e sorridente unito a grande caparbietà e infaticabilità, che rivela in eccezionali tecniche interpretative e d’improvvisazione nell’arte del combinare i suoni. L’originale dinamica musicale unita a uno stile prorompente ma nello stesso tempo lieve e nostalgico, trasformano la sua chitarra sette corde in vera e propria orchestra. Sin dalle prime note par di ascoltare un ensemble di strumenti musicali, mentre lui è lì a sorprendere il pubblico, solo al centro della scena, come un gaucho nella Pampa nella profondità della propria solitudine e del proprio sentimento. Mentre mostra il volto di un bimbo che si diverte con il suo giocattolo preferito, aumenta e diminuisce con estrema maestria la sonorità dei brani per enfatizzarne alcune parti, aggiungendo pause e accenti in modo inusitato e a tratti dirompente.

 Le sue composizioni musicali dal sapore latino sono suggestive e intense e con esse Yamandu “fotografa” reali stati d’animo. Possono rivelarsi nello stesso tempo delicate, struggenti e velocemente ritmate per mescolare allegria e tristezza nella profondità di un pensiero, di un ricordo. All’interno di uno stesso brano musicale, notevoli pezzi di bravura ad arpeggio veloce e altamente sincopato, che trascinano in un lampo gli ascoltatori dal flamenco al Jazz, al Samba. Nell’esecuzione dei suoi brani l’artista talvolta accenna al canto mentre la sua chitarra assume il pungente trillato di un mandolino, per poi tornare con accordi fortemente dissonanti alla saudade brasileira. Yamandu è anche una persona spiritosa e sa creare un dialogo empatico con il pubblico tanto da indurlo a battere i piedi a mo’ di terremoto per chiedere il bis e invitarlo a eseguire altri pezzi di bravura. Nel finale del concerto, sulle note di Carinhoso (Pixinguinha/ Joao de Barro 1917) il pubblico inizia spontaneamente a cantare “Meu coração, não sei porque, bate feliz, quando te …” riproponendo inconsapevolmente l’atmosfera da sogno imprevisto del documentario dedicato allo Choro “Brasileirinho” (2005) del regista finlandese Mika Kaurismaki, di cui è notissima la partecipazione di Yamandu.

 Quando dalla sala giungono le urla di chi non vuol farlo andar via, egli, con l’occhio curioso e spiritato di un bimbo che sta per stupire gli adulti, rende omaggio con un accenno del celebre brano napoletano di fine Ottocento denominato Funiculì funiculà. Tra i brani eseguiti Choro loco – lo Choro è quel tipo di musica strumentale nata a Rio de Janeiro nella seconda metà del 1800 dalla mescolanza di vari generi – Bem-vindo, una composizione scritta per tranquillizzare suo figlio neonato in una notte in cui questi era in preda di un un forte mal di pancia, che però a suo stesso ironico dire fu un insuccesso nel tentativo di calmarne il pianto. Poi Sambeco con accordi iniziali all’insegna della drammaticità, che paiono volgere all’evocazione di un ricordo lancinante, per poi trasformarsi in pura allegria. Sararà, che richiama fortemente ai ritmi dell’Andalusia, al Flamenco, in un clima da cante jondo, poi Vento Sul una composizione scritta insieme al noto compositore carioca Paulo Cesar Pinheiro, quale omaggio al suo Stato di nascita. Notevole anche il brano Menino Baden, scritto da Yamandu in onore del celebre chitarrista e compositore Baden Powell. A fine concerto Yamandu si lascia trascinare dagli amici a bere birra in un locale della movida romana di San Lorenzo, suonando con loro fino al mattino, difronte a un pubblico sorpreso e attonito, veramente della grande musica.

 I maggiori stimoli in campo musicale son giunti a Yamandu attraverso la propria famiglia d’origine, la madre, la cantante Clari Marson, il padre, il polistrumentista Algacir Costa e successivamente attraverso gli studi presso il chitarrista argentino Lucio Yanel. La sua formazione è all’insegna dell’eclettismo e dello spaziare fra diversi stili e tradizioni culturali, dallo Choro al Samba allo Chamamè brasiliani, dalla Milonga al Tango allo Chamamè argentini, dal Porro colombiano e oltre, per confluire a un suo originalissimo stile musicale di fusione. Yamandu è un virtuoso nel vero senso della parola, per la padronanza assoluta delle tecniche esecutive in merito allo strumento musicale da lui prescelto. In riferimento alla scena musicale brasiliana e internazionale ha vinto numerosi premi, presenzia ai maggiori eventi e collabora a buon diritto con artisti divenuti, come lui, leggendari a livello mondiale.