Roma, lunedì 7 febbraio 2011 – Tra i responsabili dell’inquinamento da CO2 le emissioni da traffico aereo sono in aumento, grazie a vettori sempre più moderni e sicuri. Un business in continua crescita, che vede l’Europa come prima meta del turismo mondiale. Ma, dopo il vertice di Cancun, che ha sancito una sorta di “pax climatica” e deciso di ridurre le emissioni di CO2, adesso tutti gli occhi sono puntati sulle compagnie aeree. Nell’aprile del 2010 l’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull in Islanda, bloccando il traffico nei cieli, ha fatto registrare un drastico abbattimento delle emissioni di CO2, confermando i dati sugli inquinanti emessi dai vettori.

È per questo che da poche stagioni alcune compagnie aeree, per evitare di trovarsi in difficoltà davanti ai consumatori, sempre più sensibili ai temi ambientali, stanno introducendo politiche “verdi”. Anche se con lentezza e per mere questioni di branding. Tra le iniziative più interessanti c’è la prassi di compensare la quantità di CO2 immessa nell’atmosfera, consentendo ai passeggeri di pagare una somma in più sul costo del biglietto. Tale “tassa”, volontaria e a carico dell’acquirente, viene utilizzata per finanziare progetti a tutela del clima e dell’ambiente, secondo le compagnie in grado di pareggiare le emissioni di CO2. Non tutte però adottano questi sistemi, che per la maggior parte ricadono sulle tasche del consumatore. Difatti tra le circa 42 compagnie aeree low cost presenti in Europa, i cui ricavi vanno di pari passo con il boom del turismo, sono poche quelle che intervengono con programmi di compensazione. Mentre tra le grandi compagnie europee di bandiera solo Air France- KLM e Lufthansa hanno attivato protocolli “verdi”.

Tra le più conosciute compagnie low cost c’è Easyjet, il cui progetto ambientale riguarda la costruzione di una piccola centrale idroelettrica, in Ecuador, America Latina. Un progetto che genera energia elettrica pulita, riducendo di 74.000 tonnellate la produzione da combustibile fossile nei primi 10 anni. Il fatto è che si tratta di un progetto a lungo termine, che deve essere finanziato mattone per mattone dai passeggeri “di buona volontà” e che non compensa nell’immediato la quantità di carbonio immessa nell’atmosfera. Che la stessa compagnia calcola in 295 kg per passeggero. L’altra grande compagnia low cost, Ryanair, che nel 2009 ha trasportato in giro per l’Europa 66 milioni di passeggeri (mancano i dati del 2010), investe invece sui motori e sui velivoli, riducendo il consumo di carburante e delle emissioni (-45% in 10 anni secondo le sue stime). Questo però non è un merito, ma un atto dovuto, visto che la IATA (International Air Transport Association) indica tra le priorità del settore le responsabilità ambientali. E tra queste l’adozione di procedimenti per ridurre le emissioni di CO2 dei vettori.

Altro progetto interessante e che al contrario ha ripercussioni sull’immediato, è quello della compagnia svizzera Fly Baboo, che dal 2008 sostiene l’Associazione Aquaverde, per la protezione della foresta amazzonica, impegnandosi a piantare un albero per ogni volo effettuato. A questa iniziativa si sono aggiunti anche i clienti, attraverso raccolte fondi volontarie. Nel 2008-2009 sono stati messi a dimora circa 7000 alberi e nel 2009-2010 circa 4200. Anche la compagnia svedese Flysmaland si impegna nella riforestazione dei boschi scandinavi. Apparentemente non ci sono sovra tasse per i consumatori, ma i prezzi onerosi fanno presumere che i costi degli interventi siano inclusi a priori nei biglietti. Air Southwest, low cost britannica, con base nel sud ovest della Gran Bretagna, preferisce invitare i propri clienti alla salvaguardia dei boschi, indirizzando, tramite il proprio web site, ad una organizzazione che si occupa della riforestazione. Le Brussels Airlines, tramite “CO2logic”, organizzazione che offre progetti di riduzione del carbonio certificati dalle Nazioni Unite, supporta un piano di protezione delle foreste in Uganda.

Al di là di questi specifici progetti per la compensazione, le altre compagnie low cost, che oggi si dividono una fetta importante del business dei trasporti in Europa, non intervengono con compensazioni sulle emissioni di CO2. Alcune, come la irlandese Aer Arann e la finlandese Blue1, diventata uno dei primi vettori scandinavi ad ottenere un certificato ISO 14001 per il sistema di gestione ambientale, informano i propri clienti sulle misure di riduzione adottate, così come fanno poche altre low faries. Esula dal discorso Aer Lingus, altra compagnia irlandese, che investe in programma sociali in collaborazione con l’Unicef, destinati a migliorare le condizioni di vita dei bambini delle aree povere del mondo. Un impegno encomiabile che investe la sfera sociale, ma non quella ambientale.

In sostanza operano in Europa, tra low cost faries e compagnia di bandiera, più di 50 diversi vettori con un carico notevole di emissioni di CO2. Eppure nessuno di questi operatori interviene nell’immediato e in maniera diretta per la compensazione del carbonio. Gli sforzi maggiori sono fatti nella sperimentazione di nuove miscele di carburante che consentono un risparmio energetico e di conseguenza una bassa emissione. Quando invece si offre di compensare con protocolli ambientali, il costo ricade solo sulle tasche del consumatore. L’ideale sarebbe invece impegnare per legge le compagnie, nazionali o private, ad intervenire sulla salvaguardia ambientale. Una tassa verde che riduca o compensi nell’immediato il debito con la natura, a beneficio di tutti, anche di coloro che non prendono mai l’aereo.