L’approvazione dell’accordo sui combustibili fossili da parte della COP28 di Dubai segna una tappa storica nelle negoziazioni internazionali sul clima, poiché è la prima volta in 28 anni che il documento finale menziona esplicitamente tutte le fonti di energia fossile. Questa novità è stata ottenuta dopo un intenso dibattito e compromessi, in particolare grazie all’intervento degli Emirati Arabi Uniti, ospiti della conferenza, che hanno convinto la vicina Arabia Saudita, uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, ad accettare la formulazione. Nonostante questo progresso, l’accordo ha suscitato critiche per la sua vaghezza e per la mancanza di impegni vincolanti, il che ha portato a definirlo come un “minimo indispensabile” per affrontare la crisi climatica.
Il testo approvato sottolinea la necessità di “allontanarsi gradualmente” dall’uso dei combustibili fossili, una formulazione più blanda rispetto alla richiesta di una “eliminazione graduale” (phase out) avanzata da molti paesi e attivisti. La nuova formulazione, “transitioning away”, mette in evidenza un approccio più flessibile e meno impegnativo, sollevando dubbi sulla sua efficacia nel limitare l’innalzamento delle temperature globali oltre il limite critico di 1,5 °C. Mentre alcuni vedono in questo accordo un passo avanti, altri lo considerano insufficiente per affrontare la gravità della crisi climatica.
Un altro elemento discusso è il Global Stocktake, uno dei documenti prodotti da questa COP28. Il documento riassume i progressi fatti e identifica i nuovi obiettivi per contenere il cambiamento climatico. Include un’analisi delle emissioni globali e dei miglioramenti ottenuti negli ultimi anni, evidenziando dove serve maggiore impegno. Tra i nuovi propositi più rilevanti, invita i paesi a ridurre gradualmente l’uso di combustibili fossili, in linea con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. Questo punto include un invito a “distaccarsi gradualmente” dal carbone, petrolio e gas naturale, considerando le diverse “circostanze e approcci nazionali”, una formulazione che lascia spazio a interpretazioni. Il documento esorta inoltre a triplicare la produzione da fonti rinnovabili e ridurre significativamente il metano entro il 2030. Nonostante le intenzioni ambiziose, gli impegni del Global Stocktake non sono vincolanti, quindi ogni governo ha margine di manovra nel decidere come (e se) adottare misure concrete.
Inoltre, la COP28 ha istituito un fondo per le perdite e i danni causati dal cambiamento climatico, ma la somma promessa di 700 milioni di dollari è considerata ben al di sotto delle reali necessità, stimate in oltre 400 miliardi di dollari all’anno. Questo aspetto ha sollevato ulteriori critiche e ha messo in evidenza le sfide di finanziamento che i paesi in via di sviluppo affrontano nell’adattarsi agli effetti devastanti del cambiamento climatico.
La reazione globale all’accordo è stata mista. Se da un lato alcuni leader e attivisti vedono nel documento un punto di partenza per una maggiore ambizione climatica, dall’altro molti esprimono scetticismo sulla capacità di attuare cambiamenti significativi, data la continua dipendenza dai combustibili fossili da parte di numerosi paesi. Gli Emirati Arabi Uniti, pur avendo fatto concessioni, rimangono al centro di un dibattito più ampio sul futuro dell’energia e sulla necessità di una transizione equa verso fonti rinnovabili.
L’accordo della COP28 riflette la complessità delle trattative internazionali sul clima e le sfide nell’ottenere un consenso tra paesi con interessi contrastanti. Sebbene l’inclusione esplicita dei combustibili fossili rappresenti un progresso, il testo finale solleva interrogativi sulla determinazione e sull’impegno collettivo necessario per affrontare la crisi climatica in modo efficace. Le COP continueranno a essere un’importante piattaforma di dialogo, ma sarà cruciale monitorare se gli impegni assunti si tradurranno in azioni concrete per proteggere il nostro pianeta e le generazioni future.