Roma, mercoledì 17 luglio 2013 – Il numero dei disoccupati in Italia continuerà ad aumentare, non solo nel 2013 ma anche nel corso del prossimo anno. Nell’ultimo trimestre del 2014 arriverà al 12,6%, contro il 12,2% di fine maggio 2013. Preoccupante la precarietà del lavoro dei giovani: uno su due, nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni, non ha un’occupazione stabile. A lanciare l’allarme è l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), nel suo Employment outlook, basato sui dati di fine 2012.

Nei Paesi Ocse, i disoccupati – si legge nel rapporto – sono oltre 48 milioni, 16 milioni dei quali conseguenza di cinque anni di crisi. Ma non tutti i Paesi presentano le stesse dinamiche: dal 2007, il tasso di disoccupazione è rimasto sotto al 5% in Austria, Giappone, Corea del Sud, Norvegia e Svizzera, mentre è cresciuto oltre il 25% in Grecia e Spagna. Sempre in Spagna e Grecia il tasso di disoccupazione è salito di oltre il 18% dall’inizio della crisi, mentre in Italia, Irlanda, Slovenia e Portogallo è salito tra il 5% e il 10%. In particolare, in Italia il dato pre-crisi si assestava al 6,2%: il tasso è quindi raddoppiato in 5 anni, facendo registrare il sesto peggior dato in termini di quota di disoccupati (12,2% nel 2012) tra i 34 Paesi aderenti all’organizzazione.

Secondo l’Ocse, rispetto ad altre crisi, i lavoratori anziani hanno mantenuto il posto di lavoro e molti hanno posticipato il pensionamento, mentre i giovani, specie quelli con un basso livello di istruzione, sono stati fortemente penalizzati, sia in termini di mancata occupazione, sia in termini di licenziamenti per quelli con contratti di lavoro precari. Nei paesi Ocse il tasso di partecipazione al lavoro degli addetti tra 25 e 54 anni è salito dall’80,2% del 2000 all’81,5% del 2012 (in Italia é cresciuto dal 74,3% al 77,9%), mentre il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni nei Paesi Ocse è aumentato dal 12,3% al 15,7%, contro un aumento dal 35,4% al 37,5% in Italia, dal 32,9% al 51,8% in Spagna e dal 37,7% al 63,2% in Grecia.

Come accennato, oltre un giovane su due in Italia ha un lavoro a precario. In particolare, si tratta del 52,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Nel 2011, erano il 49,9% e nel 2012 il 42,3%. Nel 2000 la percentuale era del 26,2%. Nel Rapporto si rileva che in Italia, nel 2012, la quota complessiva di chi ha un lavoro precario é del 13,8% e che la quota delle donne é del 48,4 per cento. Sempre tra i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni, la porzione di lavoratori inoccupata è cresciuta del 6,1% contro il 4,3% dell’area Ocse tra l’ultimo trimestre del 2007 e l’ultimo trimestre del 2012.

L’Ocse definisce «preoccupante» questa tendenza che «è essenzialmente attribuibile all’aumento dei giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti “Neet” (Not in Employment or in Education and Training)». Un quadro negativo, soprattutto se lo si compara con la situazione presente nelle altre realtà prese in esame dal rapporto: «il contrasto con l’esperienza di molti altri Paesi Ocse è impressionante: infatti, negli altri Paesi, molti giovani hanno risposto alle prospettive occupazionali scoraggianti ritardando l’ingresso nel mercato del lavoro e approfondendo gli studi» mentre per i giovani “Neet” italiani «c’è un rischio crescente di conseguenze di lungo termine sulle loro prospettive occupazionali e di guadagno».

Giudizio positivo invece sulla riforma Fornero che, sostiene lo studio, «dovrebbe migliorare la crescita della produttività e la creazione di posti di lavoro nel futuro», grazie in particolare al nuovo art.18 che riduce la possibilità di reintegro in caso di licenziamento, rendendo le procedure di risoluzione più rapide e prevedibili». Ciononostante, aggiunge l’Ocse, «l’Italia resta uno dei Paesi con la legislazione più rigida sui licenziamenti, in particolare riguardo alla compensazione economica in caso di licenziamento senza giusta causa e la definizione restrittiva di giusta causa adottata dai tribunali». In questo contesto, «gli elementi raccolti suggeriscono che limitare la diffusione dei reintegri sia un elemento chiave per migliorare i flussi occupazionali e la produttività».

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