Roma, venerdì 20 luglio 2018 – Salvatore Testagrossa è innamorato della pasta fresca fatta a mano. Ama gli gnocchi, i tortellini, i ravioli. I tonnarelli all’uovo poi sono una vera passione. Quelli per intenderci con 26 tuorli e solo 4 uova intere per chilo di farina. È quasi maniacale quando stende la sua pasta, la piega in tre parti, la stende con il matterello per cinque sei volte. Alla fine ne ricava dei bellissimi tonnarelli che solo a vederli viene voglia di immergerli nell’acqua bollente appena salata. Salvatore Testagrossa è il nuovo Executive Chef di Centro, ristorante romano situato in via Cavour 61. Il locale si trova a due passi dalla magnifica Basilica di Santa Maria Maggiore, a due passi dalla Stazione Termini, a due passi dal Teatro dell’Opera di Roma. A quattro da via Nazionale. Insomma un’area molto frequentata anche dai turisti. Sarà per questo che il locale ha un’atmosfera casual, giocata sui toni del rosso, con un cocktail bar all’ingresso, comodi tavoli da bistrot bianchi, un bancone degustazione nel corridoio, che offre anche la possibilità di vedere lo chef stendere i suoi impasti, un’ampia sala con cucina a vista alle spalle, dove la brigata lavora e si muove con gesti misurati e agili mentre allestiscono la loro rappresentazione culinaria. Da quello stesso spazio però Salvatore e la sua accolita possono controllare le emozioni dei clienti, gli sguardi di meraviglia all’arrivo dei piatti e al momento dell’assaggio.

Nella serata di presentazione rivolta alla stampa specializzata lo chef ha messo al centro i sapori del Mediterraneo, strizzando l’occhio al Lazio. Intanto ha accolto i giornalisti con un entrée diviso in due piccole portate, racchiudendovi il meglio dei prodotti italiani. Lo stesso Salvatore Testagrossa non ha esitato a chiamare questa presentazione “una piccola Italia al cucchiaio”, preparata con parmigiano, cipolla, aglio, burrata, pomodoro e aceto balsamico. E siccome il percorso gastronomico studiato per la serata era un affondo sulla pasta fresca, non poteva mancare un piccolo tortellino ripieno di solo pecorino romano a svettare in cima alla porzione. Un modo del tutto nuovo di presentare un piccolo antipasto, ma anche la firma dell’executive chef. Il suo biglietto da visita. Il primo vero piatto però è stato lo spaghetto di prezzemolo con ricci di mare e polvere di lime. Buono ma forse leggermente troppo sapido e andrebbe bilanciato meglio il riccio. Seguito dal fenomenale “Cappello del prete”, che altro non è che un raviolo di pasta molto sottile ripieno di ricotta e buccia di lime di Sorrento, pomodoro confit, asparago croccante e pecorino romano. Un vero e proprio tuffo nel passato, che a detta dello chef (e c’è da credergli) è il piatto più richiesto, anche dagli stranieri. Anche più delle lasagne, gloria italiana per eccellenza.

L’ultimo piatto a base di pasta fresca è stato il tonnarello cacio e pepe con polvere di cozze disidratate, menta “hierbabuena” fritta (una specie di mentuccia spagnola), pecorino romano Dop e pepe di Sichuan. Insomma, una rivisitazione di un piatto tipico della tradizione romana con l’aggiunta di alcuni elementi che a prima vista potrebbero essere estranei, come la menta hierbabuena. Ma la mentuccia è comunque un ingrediente della cucina romanesca. Certo sorprende vederla associata alla cacio e pepe. Così come la polvere di cozza disidratata, di cui se ne è registrata la presenza sul menù, ma impercettibile al palato. Il fatto è che il cacio e il pepe la fanno da padroni in questo piatto, in cui la rivelazione sono stati i tonnarelli freschi fatti a mano dallo chef davanti agli ospiti. Come secondo, è arrivato un assaggio di carne, il cube roll argentino con cipolla fondente e patata ghiottona. Un piatto spettacolare per sapore e gioco fusion in cui la cipolla fondente, racchiusa in una buccia di cipolla dorata, ci ha ricordato che lo chef ha avuto esperienze a Londra e in Francia prima di tornare in Italia.

Gli ingredienti più importanti della cucina di Testagrossa sono italiani, anche se il locale è stato definito dallo stesso chef un po’ newyorchese. «Mi piace dare grande spazio alla pasta fresca e mi piace mettere nei piatti quell’atmosfera casereccia che ti fa tornare indietro nel tempo e ti fa riassaporare i sentori della nonna, ottenuti con le materie prime del territorio laziale, ma non solo. È come sentirsi un po’ coccolati – ha dichiarato Salvatore -. Non seguo mode o tendenze. Decido io cosa mettere in menù, ovviamente seguendo la stagionalità dei prodotti. Ho imparato ad amare questo mestiere da bambino accanto a mia madre, per questo cucino quello che mi fa sognare». La sua è una cucina di contenuti. Gli impiattamenti sono curati, ma semplici; colorati ma non ricercati. Sapori e profumi prevalgono sulla voglia di stupire. La tradizione italiana e mediterranea per lui non sono una costrizione, anzi sono gioia e felicità. È il tempo antico delle coccole materne e famigliari che non passa. Si arricchisce di esperienze, ma rimane presente per sua e nostra fortuna.