Roma, domenica 6 luglio 2014 – Cosa è cambiato dal 2011 ad oggi, ossia dalla fine del Governo Berlusconi? La domanda è retorica. Poco o niente per gli italiani che stanno ancora spettando che la classe politica smetta i panni egoistici che ha dimostrato da 40 anni a questa parte (con il sostegno e l’incoraggiamento degli italiani stessi) e pensi a migliorare la vita di tutti i giorni. Le polemiche che stanno tenendo banco in questi giorni sui principali media non aiutano la crescita, né a far star meglio gli italiani. Da una parte, con l’apertura del Semestre Europeo da parte dell’Italia, Renzi si è dovuto scontrare con la Germania sulla flessibilità. Dall’altra, appena tornato a casa, si è dovuto scontrare con parte del Pd, e non solo visto che anche parte di Fi e almeno tutto il nuovo Ncd la vedono alla stessa maniera, sul tema del Senato elettivo. Due polemiche che stanno tenendo banco e che vedono tutti i commentatori impegnati a valutare la portata delle affermazioni dei protagonisti. Ma sono due falsi problemi. Non è un problema la flessibilità, anzi la mancanza di flessibilità, o meglio ancora la poca flessibilità che l’Unione Europea concede all’Italia (e non solo all’Italia), per rientrare dal debito in continua crescita del nostro paese, che ormai è arrivato al 130% del Pil.
L’Italia, come gli altri paesi sotto stretta sorveglianza della Banca Centrale Europea, può arrivare ad un massimo di 3% di debito ma non può sforarlo, senza subire una procedura di infrazione e vedersi ridotto, nei 12 mesi a seguire, la possibilità di spendere per far rilanciare la crescita. Paesi come il Portogallo e l’Irlanda, anche loro con i conti fuori posto, stanno facendo un grande sforzo per risanare i debiti. La Grecia da due anni sta facendo uno sforzo altrettanto grande per tornare ad essere un paese normale, dopo la lunga notte che lo ha attraversato, tra falsificazione di bilanci statali e acquisti di derivati. Se altri paesi dell’area euro stanno accettando il regime di sacrifici, sottoscritto da tutti i paesi membri, qualora non avessero mantenuto i conti a posto, perché non può e non deve farlo l’Italia? Che tra l’altro è uno dei paesi fondatori dell’Europa? Non è con la richiesta di maggiore flessibilità che, come ha giustamente sottolineato a Strasburgo il capogruppo del Ppe, il cristiano-sociale Manfred Weber, a cui pochi giorni dopo ha replicato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, altro non significa che aumentare il debito pubblico italiano.
Non sono questi i correttivi che l’Italia deve chiedere per tornare ad essere una nazione virtuosa. Quello che tutti si aspettano dall’Italia è un rilancio della crescita e dei consumi attraverso, ad esempio, le liberalizzazioni. Il Bel Paese è ancora arretrato in tema di liberalizzazioni. Liberalizzare vuol dire portare concorrenza in tutti i settori della vita pubblica e abbattere i costi per i consumatori. Questo consente di riprendere il potere di acquisto di stipendi bassi e pensioni, che non si sono mai adeguati in questi venti anni di continuo aumento dei prezzi. Gli interventi devono essere in campo medico, telefonico, delle libere professioni tutte. Le famose lenzuolate di Bersani andavano in questo senso, ma sono state bloccate e mai più riproposte. La mancanza di concorrenza fa male solo ai cittadini e ai consumatori e non rilancia i consumi. I grandi gruppi si uniscono, fanno cartello, bloccano i prezzi verso l’alto, si prendono quel premium price che dovrebbero ottenere attraverso un surplus di servizi, e che invece ottengono dagli italiani senza dare loro niente in cambio.
Le liberalizzazioni devono essere valide per tutti. Anche per le tante le troppe aziende commerciali della Chiesa, che tra alberghi, ristorazione, accoglienza, turismo, formazione, agricoltura, riceve da tanti anni a questa parte numerose esenzioni, facendo concorrenza sleale agli imprenditori. Tutti i soggetti devono pagare le tasse. Anche le iniziative commerciali della Chiesa, se tali sono. Gli immobili e le case, di proprietà di enti religiosi che vengono affittati ai privati cittadini generano ricchezza e questa deve essere tassata. Dalla Chiesa alle tasse. Le tasse vanno fatte pagare a tutti e vanno abbassate a tutti. La tassazione in Italia è troppo alta. La prima tassazione che va abbassata è quella sul lavoro, per rilanciare, come dice il Presidente Napolitano, il lavoro e le assunzioni fra i giovani. Ma non solo fra i giovani. La possibilità di trovare lavoro, di cambiare lavoro, di migliorare la propria vita lavorativa e anche di accedere a salari migliori, è una necessità di tutti i cittadini. È un diritto di tutti i cittadini, così come viene sancito dall’articolo 1 della nostra Costituzione: “L’Italia è una nazione fondata sul lavoro”. Qui deve intervenire il Governo Renzi e deve farlo in maniera veloce (il Godot che gli italiani aspettano anche su questo piano come su altri piani ha solo fatto dichiarazioni, il Jobs act, lanciato suggestioni, ma non ha forzato la mano). Bisogna eliminare sacche di privilegi. Se serve bisogna licenziare in massa, per destinare nuove risorse a nuove attività. Ad esempio, abbiamo davvero bisogno di 14.000 forestali in Sicilia?
Le liberalizzazioni. Le tasse, sopratutto quelle sul lavoro. Le semplificazioni. Ecco un’altra area di intervento fondamentale per l’Italia, che avrebbe bisogno di un profondo intervento e un Ministro preparato e pronto a farsi carico di tutte le responsabilità che l’alto compito richiederebbe. Semplificare vuol dire togliere costi e facilitare l’apertura di nuovi posti di lavoro. Semplificare, intanto, vorrebbe dire eliminare una figura retrodatata e inutile come il Notaio. Vorrebbe dire togliere tutte quelle pratiche che si pretendono per far aprire un nuovo esercizio comerciale. Vorrebbe dire introdurre un sistema virtuoso, per cui i funzionari pubblici siano obbligati ad aiutare nel concreto, con suggerimenti e formazione nella redazione o compilazione delle poche necessarie pratiche, i nuovi imprenditori – siano essi giovani o meno giovani. Vorrebbe dire intervenire seriamente sulla burocrazia italiana di tutti i livelli, Comuni, Provincie, Regioni, Stato Centrale, per rendere più semplice e facile la vita dei cittadini.
Elusione o evasione fiscale. Ecco un altro grande problema italiano che potrebbe portare benefici se affrontato con serietà. Da oltre 40 anni si sente dire che il grande problema italiano è l’evasione fiscale. Ma da altrettanto tempo non si fa nulla per sconfiggerlo. Non c’è la volontà effettiva di intervenire in questo senso. Neanche di copiare i sistemi che hanno adottato nel resto del mondo, per fronteggiare questa pratica odiosa. Tutti ne beneficiano, di fatto, anche perché per certi mestieri e certe attività, dove l’imposizione è troppo alta e i lacci e i lacciuoli della burocrazia stringenti, è impossibile continuare a sopravvivere senza evadere. Lotta alla corruzione. Che è l’altra faccia dell’evasione fiscale; e entrambe strettamente connesse con l’eccessiva imposizione fiscale. Infine lotta alla criminalità organizzata. Come si può vedere sono molti i problemi che dovrebbero essere affrontati nel breve periodo e che darebbero, già solo questi, una grande spinta alla nostra economia, senza dover chiedere sconti o flessibilità all’Europa. A questi ovviamente se ne potrebbero aggiungere altri già senza dover andare a toccare il corpus di leggi costituzionali. Pensiamo soltanto alla proposta di Gratteri di digitalizzare le procure italiane. Con pochi interventi legislativi e tutti mirati ad un concreto pragmatismo, senza andare a toccare per il momento i cardini generali della Magistratura, si otterrebbe un risparmio di tempo e un beneficio economico.
Ma la digitalizzazione di vasti settori della burocrazia italiana porterebbe giovamento anche in generale alla nostra economia. Quindi anche qui si può e si dovrebbe intervenire con urgenza e con decisione, avvicinando tra l’altro l’Italia alle buone pratiche europee. Su tutto questo discorso si va quindi a delineare anche l’altro grande falso problema dell’eliminazione della Camera Alta del Senato. Con la scusa che gli altri paesi non hanno il bicameralismo perfetto sembra quasi che tutti i mali dell’Italia derivino da questo unicum della nostra Costituzione. Non è così. Quando anche il Senato dovesse costare un miliardo annuo, non è qui la fonte dello spreco. O è minima rispetto agli altri sprechi e a quanto l’Italia perde in termini di rilancio economico e di competitività in tutti gli altri settori, per le cose che abbiamo detto sopra. Certo, su questo fronte un esempio importante il Governo potrebbe darlo. Da anni si chiede a tutti i cittadini di fare sacrifici. Perché non mostra che anche il Governo Italiano e la classe politica è pronta a sostenere nel concreto questi sacrifici? Una riduzione netta del 30% dello stipendio di tutta la classe politica italiana, per legge, dai sindaci di paese, ai membri del parlamento, passando per regioni, provincie e enti di secondo e terzo livello, compresa la Magistratura, sarebbe un bel segnale, che verrebbe apprezzato da tutti i cittadini.
Invece si continua a parlare del Senato elettivo, di immunità e di flessibilità. Ma in questo senso i vertici Europei, quelli tedeschi in particolare, e anche i nostri cari vicini delle altre nazioni europee, hanno ragioni nel ritenere che non sta lì l’origine dei nostri mali, ma soprattutto nella mancanza di riforme vere. L’Italia è vecchia e arretrata con troppe sacche di resistenza. Coloro che detengono il potere e l’economia, piuttosto che veder cambiare il vento preferirebbero uscire dall’euro. Gli italiani stanno aspettando Renzi-Godot, ma non lo aspetteranno ancora per molto, se il vento del rinnovamento non si fa sentire.