Roma, martedì 12 agosto 2014 – L’elezione di Carlo Tavecchio a Presidente della FIGC, avvenuta ieri alla terza votazione con il 63% circa dei consensi e con solo 4 società di serie A schierate contro, è uno degli ennesimi segnali della restaurazione in atto in Italia. Votare e far eleggere un 71enne a capo del massimo organo federale del calcio italiano è il segno che nulla si vuole cambiare e che gli equilibri vanno conservati. Dopo l’uscita di scena di Abete e di Prandelli, causata dalla brutta prestazione della Nazionale ai Mondiali in Brasile, ci si aspettava che qualcosa mutasse. La candidatura di Demetrio Albertini, che da alcuni anni ha intrapreso la carriera politica in Figc come dirigente nazionale, poteva essere il momento per pensare ad una personalità in parte estranea allo status quo degli ultimi venti anni. Una candidatura in parte svincolata dalla politica. Una candidatura per provare a svecchiare un movimento appunto che non sembra in grado di autorigenerarsi. O almeno fino ad oggi non è sembrato in grado di farlo e di affrontare i grandi problemi, o le grandi sfide (forse è meglio vederle in questa veste) che la contemporaneità pone di fronte. Che il calcio italiano sia malato e vecchio e in declino è chiaro a tutti. I confronti con gli altri movimenti calcistici sono impietosi. Senza tornare a parlare dei mezzi economici che hanno le squadre di club nelle negli altri Paesi Europei, dovuto alla migliore capacità attrattiva che posseggono le singole nazioni, a partire dalla diversa tassazione, e di conseguenza la capacità di fare utile e di reinvestire i proventi nella società. O ancora la possibilità di fare stadi privati in poco tempo (vedremo adesso quanto ci metterà la Roma a fare il suo e se sarà bloccato dalle solite pastoie burocratiche italiche), creando così un movimento turistico e di merchandising che possa espandere i ricavi. Problematiche quest’ultime che non possono certo essere affrontate dal Presidente di Figc, perché riguardano sostanzialmente il Governo italiano nella sua interezza e sono figlie della generale incapacità della classe dirigente a guidare il Paese, riflettendosi di conseguenza negativamente sul movimento calcistico. Di sicuro però un Presidente di Figc può essere ricevuto e sentito in Commissione per avanzare proposte al Governo o al Legislatore.

Ma al di là di questo ci sono molte altre questioni che devono essere affrontate e risolte nell’immediato per ammodernare il calcio in Italia. Per prima cosa la questione della violenza negli stadi. Problema di ordine pubblico ma non solo. Anche di educazione allo sport, che va affrontata nelle singole leghe di categoria e risolta attraverso segnali forti e duri, come squalifiche permanenti dei campi o divieti di ingresso allo stadio per i violenti, in qualsiasi categoria si trovino. Questo va certo esteso anche ai giocatori di qualsiasi lega, punendo i colpevoli, premiando i virtuosi. Ma non sta a chi scrive offrire soluzioni al problema. A chi scrive preme di sollevare il problema, che persiste in Italia fin dagli anni 80 e ha allontanato tante famiglie dagli stadi. La violenza sta al primo posto. Al secondo come far riavvicinare le famiglie al calcio. Come trasformare lo stadio in un luogo dove si fruisce solo di uno spettacolo sportivo e dove la gioia dovrebbe contaminare tutti. Bisognerebbe quindi trovare soluzioni allo stess e alla depressione da sconfitta o da mancata vittoria. Puntare di più sul godimento dell’atto fisico, dell’azione fisica, del gioco fine a se stesso, allontanando e alleggerendo la frustrazione da sconfitta. L’educazione ai valori positivi dello sport stanno anche e soprattutto in questo. E va insegnata ai bambini non agli adulti. Altra problematica da affrontare sarebbe quella di trovare il giusto equilibrio tra i settori giovanili e la libera circolazione delle persone, garantita dall’Ue. In una parola come bilanciare in maniera positiva gli acquisti di giocatori stranieri con la crescita dei vivai italiani. Ad esempio, perché il miglior allenatore italiano dovrebbe essere quello che vince il Campionato e non magari quello che esprime il miglior gioco? o che valorizza più giovani italiani? Ma anche nella scelta dell’allenatore della Nazionale Italiana, perché non puntare su chi predilige il bel gioco e non su risultato ad ogni costo? Le sfide sono tante e differenti e ci vorrebbero uomini nuovi, magari più giovani e meno assimilabili alla vecchia maniera di gestire le leghe. Tavecchio da questo punto di vista è la persona meno libera dai condizionamenti e dai lacci gestionali degli ultimi venticinque-trentanni. Questo non vuol dire che Albertini sarebbe stato più libero e meno condizionato o in grado di assolvere al difficile compito di ringiovanire il calcio italiano. Ma per lo meno sarebbe stato meno colluso con le vecchie politiche. Meno che mai inoltre avrebbe potuto farlo un ipotetico Commissario Straordinario, specie poi se questo Commissario si fosse presentato con il nome e il cognome di Walter Veltroni.

Ecco Tavecchio è il simbolo dell’immobilismo e che abbia ricevuto tanti voti sta a significare che l’aria che tira oggigiorno in Italia e proprio di restaurazione. Le leghe e la Figc, che sempre si dichiara libera e svincolata dalla politica, è al contrario sempre stata legata mani e piedi alla politica. Carraro veniva dalla politica e garantiva la politica. O meglio garantiva alla politica di controllare la Figc. Abete anche è sempre stato un’espressione della politica. Tavecchio lo si vuole far passare come un dirigente proveniente dalla “cantera” della Lega dilettanti, non creato dalla Politica. Ma tutti coloro che sono entrati lì negli ultimi venti’anni (se non di più) sono espressione della politica. Messi lì per controllare in nome della politica e dei partiti ogni singola nicchia della società. Solo che di alcuni, entrati decenni fa, si è ormai perso il ricordo dell’assunzione, per nomina o cooptazione, nella notte dei tempi. Tavecchio è uno di questi, con un passato da politico nelle Democrazia Cristiana e come consulente del Ministero dell’Economia e del Ministero della Salute. E il giochino di Renzi, che ad un certo punto è entrato nel dibattito in corso, dicendo che se fosse intervenuto (come a dire che se la Politica si fosse intromessa) in Europa avrebbero fatto perdere le squadre italiane, non è stato altro che un tentativo semiserio di far credere che la politica è estranea alla Figc. A parte il fatto che in proposito avrebbe potuto intervenire il Ministro o il Sottosegretario con delega allo sport, invece del sempre e solo Presidente del Consiglio, se non altro perché almeno per mandato avrebbe dovuto studiare le carte e seguire da vicino e a fondo la questione, evitando di far fare a Renzi la figura del solito tuttologo – come peraltro faceva Berlusconi. Nel concreto però Così non è. La politica è dentro alla Ficg. Anzi condiziona la Figc.

Tavecchio di fatto sta lì a garantire il sistema di poteri e di collusioni che da decenni immobilizzano il movimento calcistico italiano. Però è anche un simbolo e per questo fa comodo. Si sconfessano in questa maniera le velleità di movimenti politici nuovi come i 5 Stelle, che premono e chiedono che uomini nuovi, anche giovani possano rivestire incarichi di responsabilità e che lo facciano per un periodo limitato di tempo. Perché la cosa pubblica non diventi cosa di casta. Tavecchio simboleggia invece il contrario. La casta che sopravvive a se stessa non perché casta, ma perché autorizzata per professionalità e capacità a rivestire gli stessi incarichi per decenni, anche se poi i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Renzi di contro è solo un altro simbolo che viene gettato in faccia agli italiani. Non è il cambiamento è solo l’apparenza del cambiamento. Tutti si lamentavano che abbiamo politici troppo vecchi e troppo chiacchierati? Che non c’è spazio ai giovani? Adesso non lo si può più dire. C’è Renzi. Ma la politica come abbiamo visto anche in altri pezzi apparsi su cittametropolitana.it non cambia. È sempre la stessa. E quando poi si avrebbe la possibilità di rinnovare anche in altri luoghi, come in Figc, si fa esattamente il contrario e si garantiscono i posti sempre alle stesse persone. Un uomo di 71 anni, che di fatto dovrebbe andare in pensione e lasciare il posto a nuove generazioni, perché così avviene in tutti gli altri ambiti della vita “quotidiana”, viene al contrario innalzato a Presidente della Ficg. Il Presidente della Repubblica è un uomo di 89 anni. Silvio Berlusconi viaggia verso i 78 anni, ma progetta già vincere le prossime elezioni e chiede con forza l’agibilità politica (e ne ha ben donde vista la gerontocrazia italiana). Renzi ha 39 anni, di lui molti, interessati, dicono che è bravissimo, ma di fatto finora non ha portato innovazione alcuna, al di là dei suoi grandi proclami. Di fatto anzi sta ingessando sempre di più l’Italia, collaborando con Berlusconi (come del resto ha sempre fatto) per restaurare la solita vecchia politica, che il ciclone Grillo sembrava volesse finalmente spazzare via. Purtroppo per gli italiani quello che sembrava un tornado purificatore si è strasformato per le visioni miopi di Grillo e Casaleggio in una brezza settembrina, apportatrice solo del grande freddo. In Italia dunque non c’è rinnovamento. E l’elezione di Tavecchio è un altro forte segnale. Vince perché l’Italia procede con il passo del gambero e perchè garantisce i poteri di sempre.

Ancora una parola sulla proposta (minaccia?) di arrivare ad un Commissario Straordinario in caso di stallo. Solo aver messo in campo un politico di professione qual è l’ex sindaco di Roma, che per fini propagandistici ed elettorali in questi mesi si è messo a fare altro, ma che fa parte della direzione nazionale del Pd, ha finito per mettere d’accordo tutti sulla figura di Tavecchio. Veltroni commissario straordinario della Figc sarebbe stata una grande beffa per tutti gli italiani. Colui che ha saccheggiato Roma e regalato l’Italia a Silvio Berlusconi nel 2008 con una insensata azione di sabotaggio contro la Sinistra e contro il Partito Democratico che fu di Prodi, avrebbe dimostrato apertamente quanto il movimento calcistico sia sottomesso alla politica. La sua presunta chiamata in causa è solo servita a chiudere il cerchio e spingere tutti in una ben precisa direzione. Il messaggio era chiaro la politica non libera lo sport e se necessita lo presidierà ancora più  di quanto già non faccia. Per cui se volete conservare un minimo di libertà la direzione da prendere è solo una. I quattro presidenti di Serie A che hanno dissentito rientreranno prestissimo nei ranghi, non c’è da aver paura. Anche loro per decenni hanno conservato e continueranno a farlo. In gioco c’erano solo delle ulteriori rendite di posizione. O forse la voglia di contrastare qualche altro Presidente per strategie interne e come sempre “particulari”. La mia lettura dei fatti sarà accusabile di essere una lettura poco veritiera e antisistema a prescindere. Che l’Italia sia ferma è un dato di fatto!

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