Roma, martedì 11 settembre 2018 – Settembre è il periodo della pesca di Leonforte, paesino della provincia di Enna, al centro della Sicilia e a circa 700 metri di altitudine, da dove viene questa particolare pesca percoca, profumata, odorosa e dalla polpa gialla e compatta. Da alcune stagioni il Consorzio promuove questo prodotto, che per molto tempo è stato legato al solo consumo locale, consapevole che il marketing agisce anche sull’economia, se ben condotto. È per questo che ha iniziato a organizzare incontri con la stampa qualificata e di settore. L’ultimo di questi eventi era avvenuto nel settembre del 2016, nella sede romana dell’Aicig, quando tra i dati diffusi sulla produzione si era parlato di circa 5 milioni di pesche, affermando che l’obiettivo era di raggiungere almeno i 10 milioni, per diventare appetibile anche per la grande distribuzione organizzata. La particolarità di questo frutto è che cresce in una terra arida e poco bagnata dalle piogge come la Sicilia. Il frutto è caratterizzato da una buccia con una leggera peluria che la rende gentile al tatto e offre delle belle sensazioni sensoriali. E poi il suo profumo intenso che sprigiona dall’interno, dove la polpa di colore simile a quello del mango, in parte lo ricorda. Il profumo è uno dei suoi punti di forza, ma anche di debolezza, perchè in una terra dove le mosche da frutta e altri parassiti sono aggressivi è necessario trovare una valida difesa.

L’unica alternativa in un periodo, gli anni 50, quando ancora non veniva utilizzata la chimica in difesa dei campi, è stata quella di insacchettare letteralmente le pesche una ad una e farle maturare all’interno del sacchetto. L’Idea originale, e al tempo stesso surreale, di qualche contadino, per salvare la produzione di due o tre alberelli destinata ad un uso e consumo familiare, si è rivelata vincente. La scommessa è stata quella di aumentarne la produzione attraverso questa tecnica manuale, una ad una, e così rilanciare una parte dell’economia locale. Anche quando, con l’avanzare delle tecniche agricole, sarebbe stato possibile intervenire nei campi con antiparassitari e prodotti fitosanitari, la tenacia e la costanza dei produttori – oggi appunto riuniti nel Consorzio Pesca di Leonforte Igp -, ha permesso che non si perdesse questa tradizione, anche se faticosa. Solo il pensare cosa significhi letteralmente vestire ogni singola pesca, tra maggio e giugno, per salvare una produzione attuale che si aggira intorno agli 8 milioni e 200 mila frutti, pone una sfida alla ragione. Anche perché come la vestizione, anche la raccolta non può essere meccanizzata e deve essere effettuata a mano. Dunque ci vuole amore, pazienza e soprattutto la consapevolezza che i costi di produzione sono più alti, e incidono sul prezzo finale, che oscilla tra i 3,99 € e i 5,99 € al Kg.

Fino al 2016, però, la pesca di Leonforte era destinata ad un consumo interno alla Sicilia. Anche se tale consumo non era più legato alla sola zona di produzione dei comuni di Leonforte, Assoro, Agira, Enna e Calascibetta, che si trovano tra i 600 e i 1000 metri sul livello del mare. Oggi, con una coltivazione che si estende su 100 ettari e che ha quasi raggiunto i dieci milioni di frutti, è diventata appetibile anche alla grande distribuzione organizzata, che può così presentare ai suoi clienti, nel reparto ortofrutta, il primo che si incontra all’ingresso dei supermercati, un prodotto di qualità, biologico al 100%, intendendo con questo termine il fatto che il consumatore ha la certezza che non sono stati fatti trattamenti di alcun genere. Per approdare alla distribuzione organizzata, il Consorzio ha dovuto in parte modificare la pesca, nel senso che un tempo veniva colta solo quando il frutto, nel suo sacchetto, cadeva dal ramo. Quindi all’apice della maturazione e si presentava al gusto e al profumo dolcissimo. È il buon sapore che ricordano i contadini della zona, che per decenni le hanno consumate così. Oggi invece sono state fatte delle scelte ben precise, per far crescere l’economia locale, e quindi vengono colte prima, per poter arrivare integre a distanza di centinaia di chilometri. Anche perché il Consorzio si sta aprendo verso l’estero. La cosa certa è che al momento non è previsto stoccaggio per i frutti, ma solo il tempo necessario per la spedizione.

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