DI MASSIMO MARCIANO
Maledetta primavera. Il risveglio degli ormoni sociali, in questi giorni di innalzamento delle temperature, quelle meteorologiche e quelle politiche, sta prendendo la mano. Lo dice ai cittadini l’Istituto superiore di Sanità, avvisando la moltitudine di italiani scesi in strada che “fase 2” non vuol dire fine della pandemia. E lo si nota anche dai temi posti (o riproposti) dai leader della maggioranza, tornati a rilasciare dichiarazioni alla stampa dopo la “tregua” dettata dall’emergenza.
Leader che la fase più critica e impegnativa dell’emergenza sanitaria ha visto in silenzio, lasciando al solo governo il compito non solo di gestire una crisi mondiale, ma anche di rispondere agli attacchi di un’opposizione che, al di là dei toni e delle argomentazioni certamente non adeguati alla drammaticità del momento vissuto dall’intero Paese, ha comunque svolto il suo ruolo: quello di critica. Un governo lasciato talmente solo dalla sua maggioranza parlamentare che lo stesso presidente del Consiglio si è dovuto porre in prima persona al centro della polemica politica quando, in occasione di una conferenza stampa, ha momentaneamente abdicato al suo ruolo istituzionale per assumere, per supplenza, quello politico. Il Giuseppe Conte che in diretta tv dice a Matteo Salvini e Giorgia Meloni che diffondono fake news fa il “mestiere” che abitualmente dovrebbe svolgere una maggioranza parlamentare.
Dove eravamo rimasti? È la domanda che si è posto prima di tutti Matteo Renzi, che ha aperto in anticipo la “fase 2” riportando i temi del confronto politico a quelli da lui posti nella “fase 0” prima dell’emergenza. L’attacco all’asse Pd-M5s, innanzitutto, riportando nell’occhio del ciclone un dicastero, quello della Giustizia, tanto delicato quanto oggetto di critiche per la gestione non esente da lacune del ministro pentastellato Alfonso Bonafede. Anche a costo di accodarsi allo stile urlato delle opposizioni in una campagna che arriva a coinvolgere un non si sa quanto consapevole magistrato di specchiata onestà, come Nino Di Matteo, in una vicenda che viene all’improvviso riesumata dopo due anni. Anche dai salotti tv di notoria “familiarità” con i temi più cari al momento alle opposizioni.
Vicenda sulla quale Forza Italia, la cui opposizione è apparsa particolarmente morbida durante la fase emergenziale, si inserisce con segnali ambivalenti di disponibilità a seconda dell’esito del braccio di ferro Pd-Italia Viva. È proprio di oggi la dichiarazione di “neutralità” del senatore forzista Domenico Scipiloti Isgrò, per il quale salomonicamente «sulla vicenda Di Matteo-Bonafede hanno torto tutti». E propone anche un “governo-ombra” delle opposizioni, che suona in questo contesto come un invito, rivolto a chi guarda al centro, a delle prove generali di riposizionamento
I sondaggi, che vedono il partito creato dal nulla da Renzi al di sotto della soglia che quando era capo del governo riteneva egli stesso indegna di assicurare una rappresentanza parlamentare, spingono evidentemente il piede del leader di Italia Viva sull’acceleratore. Anche per quanto riguarda temi molto scivolosi non solo per il Pd, ma anche per l’altro suo alleato, Leu: il lavoro e i migranti. Temi che sono anche il terreno di scontro che impedisce ancora di avere il via libera al decreto, in cui dovrebbero essere inseriti, per il rinnovo del bonus tanto atteso dai lavoratori autonomi colpiti dalle conseguenze della crisi.
A proposito di crisi, sulla questione dei sostegni alle imprese, oggi il senatore fiorentino ha compiuto un altro affondo via Twitter, bollando come «sovietizzazione» l’ipotesi di una presenza dello Stato nei consigli di amministrazione delle imprese che riceveranno prestiti o contributi a fondo perduto per ripartire. Nella foga polemica, evidentemente, devono essergli sfuggite alcune basi dell’economia politica: in un’economia di mercato, se lo Stato (che dovrebbe essere neutrale) interviene con i propri soldi perché un’impresa stia sul mercato e assuma lavoratori, è il minimo che chieda un angolino da dove poter controllare che i soldi (di tutti i cittadini) che spende vengano utilizzati per gli scopi previsti e non, tanto per dire, per le esigenze personali dell’imprenditore.
Sempre i sondaggi sembrerebbero aver fatto finalmente uscire dal suo abituale silenzio (complice, stavolta, anche il suo stato di salute causa coronavirus) il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Anch’egli, in questo gioco dell’oca della politica post-emergenza, sembra tornare alle casella di partenza, riproponendo in un’intervista di oggi il suo tema preferito: le elezioni anticipate. «Se prenderà la strada del populismo, non lo sosterremo», è il messaggio che Zingaretti manda a un Renzi in calo sia nei sondaggi sul gradimento dei leader sia in quelli sulle intenzioni di voto.
Ma c’è un messaggio subliminale che, coralmente, arriva indirettamente da parte di tutti i leader della sua maggioranza a Conte, che ha ormai svestito i panni del “signor Nessuno” di cui era stato ammantato nel suo primo governo. Quel Conte che, con tutti i suoi limiti, insieme ai suoi ministri ha comunque tenuto insieme un intero Paese durante la fase più acuta e densa di paure della pandemia. In questi giorni il presidente del Consiglio, probabilmente, dovrà ripensare alle parole che un giorno pronunciò Enzo Ferrari: «In Italia ti perdonano tutto. Tranne il successo». E di successo nell’opinione pubblica durante la gestione della crisi, secondo i leader della sua maggioranza, Conte ne deve aver raccolto troppo.