Roma, giovedì 27 dicembre 2018 – Domani la Legge di Bilancio sarà discussa (forse) in Parlamento e quindi varata. Il voto di domani sarà l’ultimo, giusto in tempo per evitate l’Esercizio Provvisorio dei conti dello Stato. Non proprio uno shut down come quello americano, ma insomma qualcosa di simile. Non ci sarà però una vera discussione alla Camera, ma si ricorrerà nuovamente al voto di fiducia. E per come è stata forgiata questa manovra si può dire che alla loro prima esperienza di Governo sia i Cinque Stelle, sia la Lega non abbiamo dimostrato grandi doti e soprattutto esperienza. In genere il popolo (secondo la formula individuata da Luigi Di Maio) tende a scusare di più i grillini che sarebbero ancora inesperti in fatto di meccanismi democratici, sebbene cinque anni di opposizione nei due rami del Parlamento e nelle commissioni li hanno alle spalle. Meno da scusare in effetti sarebbero i leghisti, che insieme a Forza Italia si sono ritrovati nei piani alti dal 1994, amministrano da anni importanti comuni e regioni nel Nord Italia e quindi per loro le scusanti non ci sono.

Eppure, per come si è venuta a concretizzare questa Manovra, al di là della pubblicistica continua rilasciata dai due leader Di Maio e Salvini fin dal loro insediamento, ha dell’incredibile e comunque è figlia di continui ripensamenti, che hanno in pratica sconfessato addirittura le premesse iniziali. Alla fine, la Legge Foriero sarà per buona parte conservata (per il momento dice Salvini) e la platea del Reddito di Cittadinanza sarà così ristretta da non andare incontro a quelle che erano le aspettative di migliaia se non milioni di italiani. Il risultato è quello di aver scontentato tutti. Da una parte l’Europa, che chiedeva maggiore rigore nei conti e un rapporto Pil/deficit all’1,6%. Le partite iva e la confindustria che speravano nell’idea della Flat Tax di Salvini. Praticamente mezzo Sud che ha votato in massa i Cinque Stelle per rincorrere l’idea del Reddito di Cittadinanza, che avrebbe dovuto dare a tutti i disoccupati un mensile di 780 €. Forse alla fine saranno adeguate le pensioni minime, ma ci sarà un prelievo dalle pensioni d’oro e anche a quelle che non sono tali con lo stop dell’adeguamento. Quello che emerge invece è una manovra che introduce nuove tasse, mentre i cittadini si aspettavano un taglio della tassazione.

Tutto o quasi è stato disatteso e alla fine il principio di realtà, quello che ci impone di guardare alla nostra società e al peso del suo debito, il terzo più alto al mondo, come un macigno che tiene vincolata e affonda anzi la nostra economia. La ricetta di Di Maio, in parte accettata anche da Salvini e dai suoi teorici, era quella di una manovra espansiva che avrebbe dovuto contrastare con le manovre dell’austerità dei governi precedenti (leggi Pd e soprattutto Renzi), rilanciando i consumi e di conseguenza facendo crescere il Pil. In questo modo, si sarebbe ridotto anche il debito. Questo in teoria. Nella pratica chi avrebbe dovuto finanziare la manovra espansiva se non il Governo? E come bisognava finanziare questa manovra espansiva, se il governo non ha risorse? Ossia dove prendere i soldi necessari a dare a tutti 780€ mensili, oppure a ridurre notevolmente la tassazione? O il Governo dismette alcuni asset (dorsali telefoniche, beni paesaggisti e monumentali, spiagge demaniali, etc…), fa cassa e finanzia appunto Reddito di cittadina e Flax Tax; oppure aggredisce il nero e l’evasione fiscale.

Insomma da qualche parte i soldi li deve trovare, perché comunque lo Stato deve affrontare una spesa corrente annuale, per far funzionare scuole, uffici, sicurezza, trasporti, pagare le pensioni e gli stipendi agli impiegati del pubblico impiego, pagare gli investitori e il debito sovrano, e via discorrendo. Diciamo che le premesse di alcune basi economiche progettuali erano impraticabili già in partenza. Se poi si guarda al dato concreto della manovra, quale emerge dalla seconda lettura in Senato, si capisce che le poche idee che sono rimaste in testa agli economisti di Lega e Cinque Stelle sono confuse. Ad esempio, l’Ires (l’Imposta sul Reddito delle Società) è stata raddoppiata per il Terzo Settore, quello che si occupa del volontariato (Protezione civile, Croce Rossa, Sant’Egidio, etc… ), togliendo le agevolazioni introdotte dai precedenti, scandalosi Governi e quindi facendola balzare dal 12 al 23%. Nello stesso tempo sono state rinnovate le concessioni demaniali delle spiagge italiane per 15 anni a prezzi di saldo. Lì dove ci sono i maggiori proventi per i privati, che utilizzano risorse di tutti, hanno applicato una sorta di flat tax. Nel primo caso invece, dove parte dei cittadini lavorano da volontari per dare servizi che lo Stato non è in grado di erogare, le associazioni vengono penalizzate e costrette a pagare maggiori imposte allo Stato.

Forse qualcosa non torna nella visione di insieme dei due partiti. E non vengano a dire che è colpa dell’Europa e del rischio della procedura di infrazione. Il buonsenso avrebbe infatti spinto ad operare nella direzione opposta. Far pagare il giusto a chi sfrutta un bene demaniale come le spiagge per fare soldi e con quelle entrate consentire alle associazioni no profit del Terzo Settore, che offrono un servizio pubblico alla cittadinanza – gratuito per lo Stato – di conservare l’Ires al 12% se non ad un livello ancora più basso. Ma questa manovra è figlia del caso e del caos, introdotto da Cinque Stelle e Lega.