Roma, mercoledì 10 giugno 2015 – In attesa di capire se Renzi proclamerà o meno la decadenza del neogovernatore della Campania, ma siamo sicuri che non potrà glissare sulla Severino e quindi il neoeletto governatore dovrà lasciare l’incarico, sul Corriere della Sera di oggi (10 giugno) è uscito un articolo di fondo di Michele Ainis che parla della incongruenza di avere leggi severe, anzi severissime, e interpretazioni delle stesse dalle maglie così larghe da consentire di disinnescare le stesse leggi. In pratica, come spiega dalle colonne del Corriere, giocando sull’interpretazione della Severino si potrà disporre che De Luca venga fatto decadere al momento dell’insediamento e non al momento dell’elezione. Quindi, secondo questa visione, oggi che non è ancora insediato non è tecnicamente decaduto, e rimane pertanto Presidente in pectore della Campania.

Qual è la differenza? Che se fosse già decaduto, non essendo ancora insediato, non potrebbe nominare la squadra di governo della Regione con un vice presidente, che potrà sostituirlo nella vacanza più o meno lunga cui sarà costretto ad andare incontro De Luca. Quindi, non avrebbe senso che De Luca proseguisse nel lavoro di tessitura per trovare una quadra tra le forze della coalizione. Anzi si dovrebbe andare immediatamente a nuove elezioni. Con l’interpretazione della Severino favorevole a ritenere che De Luca sarà definito decaduto al momento del suo insediamento si aggira l’ostacolo. Potrà fare la squadra di Governo e poi lasciare al suo “viceré” – come lo definisce appunto Ainis. Ma la questione è un’altra e forse la più importante. Perché è stato candidato De Luca visto che era chiara la sua condizione? De Luca è stato condannato in via definitiva. Ha superato tutti i gradi di giudizio ed è stato ritenuto colpevole. Per questo per effetto della Severino, che non è che sia questa severissima legge, visto che consente di restare in carica fino al terzo grado di giudizio, deve lasciare i suoi incarichi pubblici. Dunque, perché candidarlo? Perché farlo correre alle primarie? Perché non trovare subito un “viceré” da presentare agli elettori?

Perché evidentemente questo “viceré” non avrebbe avuto i voti. Per ragion di potere dunque si è preferito accettare questa forzatura. E questa forzatura mina le basi della democrazia. Il Pd e Renzi hanno accettato questo per ragioni di opportunità politica. Vincere per 6-1 alle scorse regionali sarebbe stato importante per il Presidente del Consiglio in un momento in cui la sua immagine politica è fortemente offuscata, il gradimento degli italiani in calo e quanto proposto dalla Maggioranza trasversale di Governo, zoppicante e sempre puntellata da qualche falange forzista, non sempre si è rivelata efficace. Renzi, che mai si è sottoposto alla prova del voto popolare, si è legittimato attraverso il voto delle precedenti elezioni europee. Ma andare oggi al voto e presentarsi davanti agli italiani con la zavorra di alcune riforme sgradite da buona parte del popolo della sinistra sarebbe un suicidio politico. Le elezioni regionali servivano a Renzi per sottolineare la sua supremazia politica. Ecco perché accettare la presenza di un candidato opaco come De Luca. Le ragioni del pragmatismo politico erano più forti delle ragioni dell’opportunità politica.

E adesso Renzi e il Governo ne subiranno le conseguenze con un ulteriore decadimento dell’immagine politica del premier e del suo operato. Il popolo di sinistra e quanti sono sensibili alla legalità, anche perché non ne possono più dei continui scandali corruttivi che estorcono agli italiani un fiume di denaro che dovrebbe servire invece per sostenere l’economia, i giovani, le pensioni, il lavori autonomo, gli anziani, gli indigenti, e che invece lascia nel mezzo di una crisi economica, morale e sociale senza precedenti. Non c’è ragion di stato o esigenza personale del premier che possa scusare l’operato del Partito Democratico. De Luca per legge non era candidabile e tale avrebbe dovuto essere ritenuto dal suo partito. Anche se il rischio era perdere la regione Campania. Il nodo che Renzi non ha saputo o voluto affrontare e superare lo dovrà scontare come un danno personale che peserà sulla sua capacità di mediazione. È un ulteriore vulnus al suo Governo che porterà nuovi scompensi. Già si parla di un sostegno a Renzi da parte di Verdini, soprattutto in Senato, dove il Governo rischia seriamente di non avere i numeri. Si scopre così sempre di più la natura di destra di un esecutivo la cui maggioranza dovrebbe essere di sinistra e questo sta logorando l’immagine del Presidente del Consiglio.