Oltre agli edifici antichi costruiti in pietra, a sbriciolarsi come castelli di sabbia anche case e palazzi moderni che avrebbero dovuto resistere a scosse maggiori rispetto a quella del 6 aprile. Solo dopo la tragedia i media e la politica sembrano scoprire che la maggior parte del suolo italiano è ad alto rischio sismico e che i centri storici e palazzi moderni rischiano di divenire polvere se non si avvia un serio piano di messa in sicurezza delle città più esposte a tali fenomeni

di Andrea Aidala
aaidala@lacittametropolitana.it

Roma, mercoledì 8 aprile 2009 – Più di 260 morti, oltre un migliaio di feriti molti dei quali in gravi condizioni, 25 mila persone rimaste senza casa. Una tragedia destinata a segnare la vita delle vittime e degli spettatori che ancora oggi continuano, attraverso la tv, ad osservare inermi e sbalorditi tanta disperazione e distruzione. Chi poteva è fuggito, molti sono rimasti ad assistere impotenti al completo annientamento delle poche case rimaste in piedi per le continue scosse che dalle 3:32 del 6 aprile si susseguono numerose. Il suolo d’Abruzzo sembra ancora non voler smettere di tremare e della bellissima città dell’Aquila e dei molti paesi a essa prossimi poco pare possa essere salvato.

Terminato il resoconto dei dovuti ma tristi numeri, viene l’ora dei “perché?”, dei “come è potuto accadere?”, e poi, dei “qualcuno ne ha colpa?”, “qualcuno sapeva?”: domande forse ignobili che rompono il mesto silenzio di chi ancora soffre e piange la morte di parenti e amici, ma che, nonostante tutto, è importante trovino risposta. Il primo interrogativo che sin dai primi istanti ha forse troppo affascinato i media ha riguardato la previsione della grande scossa effettuata dal Giampaolo Giuliani, un tecnico di ricerca specializzato in chimica, meccanica fine ed elettronica, che lavora presso l’istituto nazionale di fisica nucleare nei laboratori del Gran Sasso. Questi, attraverso l’analisi delle concentrazioni di radon, un gas radioattivo e altamente nocivo che, secondo la sua personale opinione da molti esperti del settore fortemente contestata, aumenterebbe in concomitanza di un evento sismico, avrebbe giorni prima della tragedia avvertito le autorità dell’imminente catastrofe. Nessuno gli ha prestato ascolto e a fare seguito ai continui appelli di Giuliani solo una denuncia per procurato allarme.

Evitando di buttare benzina sul fuoco delle polemiche, appaiono altre le questioni d’affrontare e gli interrogativi da porsi. Se anche fosse vero che questi fenomeni non si potessero prevedere si conoscono da anni le zone d’Italia più a rischio terremoti, ma pare che tale conoscenza non sia ancora servita a limitare i danni delle scosse più violente e soprattutto a salvare delle vite. Come purtroppo si è potuto riscontrare non sono crollate solo le vecchie abitazioni fatte in pietra del centro storico del capoluogo abruzzese e dei paesini circostanti, ma anche case e palazzi più moderni fatti di travi, pilastri e cemento armato che avrebbero dovuto reggere a scosse più violente di quella delle 3:32 del 6 aprile scorso. Come è potuto accadere? Come è possibile che queste strutture siano crollate come castelli di sabbia? Non sono state rispettate le norme antisismiche, sono stati utilizzati materiali scadenti? Domande a cui la procura dell’Aquila cercherà di rispondere. Intanto però Franco Barberi, presidente della Commissione grandi rischi, ha affermato “un terremoto così in California non avrebbe provocato neanche un morto”, facendo intendere che probabilmente qualcosa nelle moderne costruzioni non andava. Poi se pensiamo che l’ospedale della zona, struttura che oltre a reggersi avrebbe dovuto anche funzionare, è stato da subito evacuato e dichiarato inagibile, che l’ormai famosa casa dello studente dell’Aquila, costruita negli anni 60, è adesso solo un cumulo di macerie come molte abitazioni anche più moderne, i sospetti si fanno più forti.

A parte ciò, i media e anche la politica sembrano solo adesso aver riscoperto un problema di sempre, ovvero che la maggior parte del suolo italiano è ad alto rischio sismico e molte delle città che su questi territori sorgono corrono il serio pericolo di sparire o venire seriamente danneggiate. Anche in queste zone i centri storici potrebbero divenire polvere dopo un terremoto di medio-alta intensità e il sisma d’Abruzzo insegna, niente può e deve rassicurarci riguardo le moderne costruzioni. Solo martedì 7 aprile 2009 gli italiani, grazie ad un articolo apparso sul “Corriere della sera”, scoprono che “in Italia ci sarebbero almeno 75-80 mila edifici pubblici da consolidare”, al primo posto le scuole, e che il Consiglio nazionale degli architetti invoca da tempo “un piano urgente di messa in sicurezza di ampie parti delle nostre città” non escludendo i fabbricati nati negli anni 50 e 60 “a causa del tipo di cemento armato” utilizzato per costruirli. Una vicenda che ha dell’incredibile e che necessità di essere chiarita e risolta.

Se qualcosa la disperazione d’Abruzzo ha insegnato, sarebbe più opportuno che il Governo sostenesse gli italiani a mettere in sicurezza le loro case al posto di invitarli ad ampliarle aumentando così la loro fragilità.

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