Roma 9 ottobre – E’ difficile riuscire ad incuriosire il nostro paese con nuove forme d’arte specie quando queste sono legate al mondo del digitale. Se si pensa a città europee come Berlino, Parigi o Londra che invece hanno da tempo consolidato la loro presenza tra il pubblico e nel mondo dell’arte, l’Italia è ancora piuttosto indietro. Ma la caparbietà è un dono di pochi e lo dimostra la qualità della quarta edizione del Roma Europa Festival con l’evento Digital Life 2013-Liquid Landscapes.

Da giovedì 10 ottobre con due sezioni allestite negli spazi del MACRO Testaccio fino al I dicembre, un’opera unica al MAXXI fino al 10 novembre e un ciclo di incontri in calendario all’Opificio Telecom Italia, il pubblico sarà immerso nel mondo del contemporaneo, alla scoperta dell’evoluzione tecnica nella nuova era dell’arte.
Filo Rosso di questa edizione è il paesaggio, rielaborato e inventato o ricreato dalle 28 opere in mostra: installazioni multimediali, ambienti sonori e opere interattive come prototipi di una nuova idea di ambiente naturale ed urbano o, interpretazioni futuristiche e a tratti nostalgiche delle relazioni sociali. Molti gli artisti dell’edizione passata. Ryoichi Kurokawa, Daniele Puppi, Quiet Ensamble e per la prima volta a Digital Life Robin Rimbaud, Mihai Grecu, Carlos Franklin e Roques Rivas. Artisti tra l’altro proposti da Le Fresnoy, l’eccellente centro studi per la produzione legata al mondo del digitale.

All’interno del Macro di Testaccio la mostra è dislocata tra i due padiglioni principali. Due le sezioni: The world you KNOW e The world you OWN. Un gioco di parole che spiega allo spettatore quel messaggio che la stratigrafia delle opere rischia di disperdere.

The World you know è l’area dedicata al paesaggio. Sfondi e scenari sono ricostruiti attraverso l’accumulo dei dati storici, culturali, geografici e sensoriali. L’arte digitale diventa trasformazione in opera della follia umana e delle sue indelebili conseguenze. La volontà è quella di approdare ai sofisticati ingranaggi di macchine “celibi”, come metafora della funzionalità delle architetture urbane e della sua ricostruzione artistica.

DU ZHENJUN -The super towerPresente l’artista cinese Du Zhenjun con l’opera, The Super Tower , tre grandi fotografie digitali che elaborano intorno ad un’imponente Torre di Babele “la rappresentazione di un mondo senza frontiere.” –spiega l’artista- “Non c’è differenza tra oriente e occidente, per questo al centro dei quadri ho messo come simbolo la Torre di Babele, perché rappresenta la contemporaneità. Le immagini che ho preso vengono tutte da internet e le ho scelte sia perché simbolo storico di tutta l’umanità, sia per ricordare di come internet abbia rotto tutte quelle barriere che oggi hanno contribuito alla diffusione della globalizzazione.” Non è un caso che nella foto centrale, The Wind, Zhenjun usi il vento come metafora della globalizzazione. Una forza della natura che abbatte le differenze che il vento uniformizza. La cultura orientale che si sgretola a contatto con le architetture occidentali, nella confusione di un mondo globalizzato ormai sinonimo di una scura apocalisse contemporanea.

Rimane nel tema della distruzione l’opera video “Underconstruction” di Zenchen Liu. Un video di 10’proiettato sulla parete sinistra del Macro, che ha per sfondo il quartiere del centro storico di Shanghai. Grazie ad una speciale videocamera, Liu tenta di recuperare il ricordo del luogo. Un cielo grigio che fa da sfondo, macerie, presenza di vita rimaste, fotogrammi sovrapposti per un’incredibile restituzione realistica grazie al supporto del 3D.
In una sala a parte i paesaggi del giapponese Ryoichi Kurokawa. Musicista e artista visivo, insieme a Gorundci ci conduce nel mezzo dei conflitti bellici in Medio Oriente. Molto suggestivo l’uso dei tre schermi orizzontali che raccontano tra foto, video e musica elettronica, il grande dramma dell’ultimo decennio. Di forte impatto la scelta di togliere il sonoro durante l’esplosione finale. Il silenzio diventa sinonimo di riflessione.
Incentrato sui conflitti bellici anche l’opera di Laurent Marechal dal titolo, “Ligne Verte“. Questa è una delle prime installazioni che si incontrano durante la visita al padiglione centrale del Macro di Testaccio. Un video che ha come tema centrale il muro di Gaza, la sua rielaborazione digitale in un dipinto che si tramuta in un quadro-video tridimensionale. Il messaggio è la distruzione utopica dell’assurdità architettonica che divide i territori Palestinesi dallo Stato di Israele.

Presente Carlos Franklin l’artista dell’opera “Mutations Of Matter“, artista cileno proveniente come tanti di quest’edizione di Digital Life, da Le Fresnoy – Studio national des arts contemporains di Parigi. Insieme a Roque Rivas, hanno realizzato un’installazione video sul mito di New York, i suoi suoni, la sua bellezza e il suo eterno caos. “Abbiamo voluto lavorare sui diversi livelli della città.”- racconta Franklin- “Ci siamo basati sulle opere e i suoi grattacieli più famosi. Abbiamo preso pezzi del documentario di Alan Fischer cercando di ritrarre attraverso una sorta di meet-up video e sonoro, la complessità di un centro urbanistico mondiale ideale e idealizzato”.

Un’altra opera incredibile e per certi tratti geniale è L’Empire di Aurelian Vernhes-Lermusiaux. Un’installazione di grande dimensioni che racconta la memoria del luogo di una piccola isola del giappone. Le immagini sono state realizzate poco tempo fa e presentano l’isola al suo stato attuale. Un sensore appoggiato alla base della proiezione rileva la figura, ossia lo spettatore, che muovendosi su e giù per il “video-quadro”, riporta l’immagine a prima del bombardamento. “La persona si sposta e l’immagine cambia dietro di lei”, spiega Vernhes, presente all’anteprima. A fianco un televisore a plasma sull’isola, vista da lontano. Un’immagine fissa che rivive alle orecchie dello spettatore con le grandi cuffie e la storia dell’isola in versi francesi.

Con l’opera “Staging Silence” di Hans Op De Beek, le metropoli e i paesaggi naturali si trasformano in ricordo nostalgico. La città evolve nelle strutture architettoniche e sociali delle periferie con l’installazione interattiva di Alexander Maubert, “Monade”.

Si gioca sul significato di cintura urbana con “Suburban Rhapsody” di Devis Venturelli. L’artista spiega che “la volontà è stata quella di giocare sulla metafora di questo termine con un video che scorre a 360° gradi infinite cinte di cuoio messe una accanto all’altra come una sorta di cornice, sfondo, della periferia milanese”.

“La Terre Outragèe” di Michale Boganim, segna il passaggio alla tragica storia di Chernobyl e a ciò che rimane della sua periferia. Una visita turistica che l’artista per metà francese e metà algerina ha voluto immortalare in un video. Di forte impatto le immagini. Tutto è rimasto intatto dal 1986. “Ho voluto far vedere come la natura abbia preso il sopravvento sul paesaggio e sulle cose “- ci spiega la Boganim- “Si fondono due video girati in estate e in inverno. Volevo mostrare come la natura abbia vinto sull’essere umano e come questa desolazione sia anche unico l’unico intatto testimone dell’architettura del periodo comunista”. La conseguenza dell’errore di due ingegneri, dunque un errore umano, che ha fermato il tempo e il luogo nel ricordo del disastroso evento.

Sulla stessa scia “Falling Forward”, nuova opera di Robin Rimbaud aka Scanner, che grazie ad una tecnica molto sofisticata, ha ripreso a 1000 scatti una serie di oggetti in modalità rallenty, ricreando un’assenza di gravità per un’immagine incredibilmente nitida e tridimensionale. Rimbaud, ex studente è ora uno dei docenti della scuola parigina Le Fresnoy.

Innovativa e originale è l’opera “3More60°” di Pietro Babina. Un nuovo modo di concepire il cinema e la sua fruizione. Nata dalla collaborazione con l’Università della Pennsylvania, dopo molti tentativi ed esperimenti, sono arrivati a creare un rapporto unico tra lo spettatore e l’inquadratura. Si interagisce direttamente con il video. Attraverso l’uso di sofisticati software, seduti al centro di una piccolo spazio rotondo chiuso da una tenda scura, si prendono le cuffie e si comincia il viaggio nella nuova visone a 360°. Si può vedere solo la parte del filmato in cui noi puntiamo lo sguardo. Spesso alle spalle si sentirà parlare qualcuno. Si può scegliere di vederne il volto ruotando la sedia fino al punto della tenda/film scelto. La particolarità e forse la sua più grande curiosità è la condivisione di un film sempre diverso. Nessuno vede lo stesso film, perché ognuno sceglie cosa vedere. .
Con “In Nubibus Project Room” di Marco Maria Scifo e la macchina celibe RBSC.01 di Mattia Casalegno si conclude il primo padiglione.

Nella seconda sezione, The world you own, c’è una maggiore presenza di artisti italiani e della tecnologia come strumento per dare vita a paesaggi mentali ed impossibili geografie della percezione.
All’ingresso “Unità minime di sensibilità” di Roberto Pugliese, una sorta di nero salice costruito come simbolo di rimodulazione e pianto di tutti i suoni catturati in tempo reale nelle adiacenze del Macro.

Carlo Bernardini_Orbita Eclittica_neons_tesla coil ridSi sposta lo sguardo verso l’alto con Carlo Bernardini e l’opera “Il vuoto sospeso”. Grazie all’uso della fibra ottica “snodo i triangoli immettendoli nello spazio come disegni che rappresentano forme”- ci spiega Pugliese – “la fibra ottica continua senza forma di continuità. E’ meno usata nell’arte digitale perché è molto meno pratica. Vengo dalla pittura in realtà e con la tecnologia ho voluto dare un’altra forma del triangolo su tela. Cristallizzare la luce nello spazio fisico”. Attraverso l’animazione 3D di Mihai Grecu nell’opera “Coaugulate” l’universo diventa un lugo privo di leggi fisiche e abitato da minacce sconsociute e luci a neon.

Anche in quest’edizione stupisce l’idea del colletivo Quiet Ensemble. “E’ un’opera per cui bisogna avere la pazienza di osservare.” – ci spiega uno dei due artisti del collettivo- “Le lampade sono il sole che si accendono e spengono a turno spostando gli insetti all’eterna ricerca nello spazio”. Un concetto di natura che quest’installazione vuole accogliere nell’universo delicato dei piccoli organismi viventi.
Al centro del padiglione si erge un’enorme struttura a tubo argentato che si gira e si contorce ricordando il megafono dei vecchi giradisci. L’opera, Tenore di Fondo e Narciso, di Donato Piccolo, riporta il caso del famoso “effetto butterfly”. I vortici d’aria inscatolati in bacheche di vetro, reagiscono ai suoni captati nello spazio esterno, articolando di conseguenza il loro movimento, mentre Butterfly amplifica i leggeri spostamenti d’aria causati dalle piccole ali (vere), di una farfalla meccanica.
Molto belle anche le opere di Paul Thorel. “Correnti oblique laterali”, un gioco ottico realizzato grazie a una serie di immagini che si trasformano in volti umani, man mano che ci si allontana.
Suggestiva la narrazione per materie non organiche attraverso video e musica elettronica nell’opera “Planet A”, di Momoko Seto.

Per vedere la nuova creazione dell’artista friulano Daniele Luppi bisogna invece spostarsi al MAXXI di Via Guido Reni. Opera creata apositamente per l’edizione 2013 di Digital Life, “Happy Moms” è un’installazione che ricerca l’uso sperimentale del suono, dell’immagine, dello spazio e del movimento. L’artista friulano ha voluto continuare il proprio lavoro sulla frantumazione di un’esperienza visiva che, nel suo ricomporsi, si apre ad un montaggio di percezioni e relazioni di grande impatto e intensità.
L’edizione di quest0anno ha visto nel comitato artistico di Digital Life Monique Veaute, Presidente della Fondazione Romaeuropa, Fabrizio Grifasi, Direttore della Fondazione Romaeuropa, Alain Fleischer, cineasta e fotografo, Direttore di Le Fresnoy, Bartolomeo Pietromarchi, curatore e critico d’arte e Daniele Spanò, artista e consulente artistico Fondazione Romaeuropa. Un’edizione di più ampio respiro internazionale che non deluderà appassionati o semplici curiosi.