L’orrore della guerra che stermina intere generazioni può ancora fermarsi attraverso l’immortale monito d’amore di Giovanni Paolo II
di Lilly Amato
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Roma, mercoledì 14 gennaio 2009 – Era lo scorso 28 dicembre quando Papa Ratzinger, dopo l’Angelus, ha implorato "la fine di quella violenza che è da condannare in ogni sua manifestazione e il ripristino della tregua nella striscia di Gaza" e chiesto "un sussulto di umanità e di saggezza in tutti quelli che hanno responsabilità nella situazione; domando alla comunità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire da questo vicolo cieco e a non rassegnarsi alla logica perversa dello scontro e della violenza". Stamattina le truppe israeliane sono arrivate vicino al cuore di Gaza e le organizzazioni internazionali hanno espresso crescente preoccupazione per le condizioni dei bambini intrappolati nell’offensiva: sono terribili le immagini dei piccoli di Gaza morti per strada, ma anche dei bambini vestiti da soldati di Hamas, che si esercitano alla guerra e pronunciano parole di odio contro Israele e contro gli ebrei. Immagini terrificanti della follia del fanatismo.
Bambini, come quelli israeliani, straziati nelle lamiere di un autobus fatto esplodere da un kamikaze. Mentre l’assedio contro i militanti di Hamas entra nella sua 19esima giornata, il bilancio delle vittime palestinesi è salito a oltre 1000, inclusi più di 400 tra donne e bambini. Il capo della Commissione internazionale della Croce Rossa, Jacob Kellenberger, ha visitato ieri il territorio palestinese, riferendo che ciò che ha visto è stato scioccante: "E’ inaccettabile vedere così tante persone ferite". Per il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, Israele sta esagerando: "C’è un uso eccessivo della forza nell’operazione israeliana, che deve essere fermata immediatamente. Abbiamo condannato questi atti e chiesto di risparmiare la popolazione civile". Ban Ki-Moon è giunto questa mattina al Cairo per una settimana di colloqui con i leader d’Egitto, Israele, Giordania e Siria. Sempre al Cairo, una delegazione di Hamas ha ripreso le trattative per una richiesta di cessate il fuoco promossa dall’Egitto, paese confinante con Israele e la Striscia di Gaza.
Il movimento integralista di Hamas avrebbe accettato la proposta egiziana per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Dopo il colpo di Stato a Gaza del giugno 2007 ci sono due Palestine: una moderata in Cisgiordania guidata da Abu Mazen e una islamista a Gaza contro cui è stata scatenata il 27 dicembre 2008 l’operazione "Piombo fuso". La guerra ha due obiettivi: la fine del lancio dei missili Qassam contro le città israeliane di confine e la fine del contrabbando di armi lungo i cunicoli tra Gaza ed Egitto. Hamas, il più radicale nemico dello stato ebraico, ha un solo sogno, sancito nella Carta costituzionale del partito: la scomparsa d’Israele e la rinascita di una grande Palestina islamica.
Il grido di Wojtyla
In questo scempio, ritorna alla memoria il monito senza precedenti e sempre vivo di Papa Wojtyla. Di fronte all’inerzia dei governi, era il 2003 quando Giovanni Paolo II spingeva per mettere in moto le coscienze. Ma in modo visibile: con marce, veglie, riunioni di preghiera, appuntamenti nelle cattedrali e nelle strade. Karol Wojtyla voleva che il mondo cattolico facesse sentire il suo peso: cento appuntamenti per la pace in quarantadue paesi del mondo ed era solo un assaggio. I pontefici, come ha riportato il giornale dell’episcopato, hanno sempre ammonito contro la guerra: "lo fece Benedetto XV con l’appello sull”inutile strage’. Lo fece Pio XII proclamando che ‘con la guerra tutto è perduto’, e non fu un successo. La gente ha obbedito a Giovanni Paolo II più di quanto obbedì a Benedetto e a Pio".
Scrive Joaquin Navarro Valls: "La vera arma atomica di cui disponeva in quel tempo Giovanni Paolo II era la potenza dei valori antropologici universali e la fede incrollabile nella persona umana come tale". Nel 2001 il cardinale Laghi, scomparso lo scorso 11 gennaio, era stato inviato da Papa Wojtyla a Gerusalemme per incontrare i leader israeliani e palestinesi e cercare di mediare una tregua nel conflitto. Ed era il marzo del 2000 quando Papa Giovanni Paolo II si recò nel memoriale dell’olocausto di Yad Vashem in Israele e pregò al Muro del pianto a Gerusalemme. Egli non cessò mai di trovare un terreno comune. "Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!", disse all’omelia della messa di inaugurazione del pontificato, il 22 ottobre 1978.
Con quello spirito ha instancabilmente percorso la sua missione terrena. Ha riconosciuto ufficialmente lo stato di Israele ed ha chiesto perdono per le mancanze e i peccati dei cristiani verso i "fratelli maggiori" nel corso dei secoli. "Prego perché la mia visita contribuisca ad accrescere il dialogo interreligioso che porterà ebrei, cristiani e musulmani a individuare nelle rispettive credenze e nella fraternità universale la motivazione per operare a favore di quella pace e di quella giustizia che i popoli della Terrasanta non possiedono ancora. Che la fine dei conflitti e delle discordie sia il dono di Dio alla terra che egli scelse come propria". E’ stato il viaggio più emozionante, difficile e forse più rischioso fino allora.
Wojtyla si è sempre considerato in un solo modo: seguace di Cristo nel senso più profondo dell’espressione. Karol Wojtyla è così stato nella terra dell’incancrenito conflitto arabo-israeliano soprattutto con il cuore. E’ la memoria ad averlo guidato: la memoria della nazione polacca, che per secoli è stata spogliata di uno Stato, privata di una patria riconosciuta libera. Il riconoscimento vaticano dello Stato d’Israele, da lui fortemente voluto, è stato il segno della sua condivisione della gioia del "popolo errante" per la casa ritrovata. Ma in Terrasanta sono due i popoli erranti, i cui figli dispersi cercano un loro focolare: anche il popolo palestinese vaga nel deserto della rabbia, esposto ai demoni del terrorismo e della disperazione. Per l’anno giubilare Papa Wojtyla nutriva un grande sogno, una preghiera sul monte Sinai che accomunasse ebrei, cristiani e musulmani. Ha parlato perciò di riconciliazione e di condivisione fra i fratelli in guerra, riproponendo Gerusalemme come luogo tutto speciale dello Spirito.
Una città di Dio, che non può essere ridotta nei confini di un solo Stato, essendo destinata ad avere un ruolo universale. Oggi, a quasi quattro anni dal suo ritorno alla casa del Padre, continua a dire, attraverso i fedeli, ancora questo, con la stessa tenacia e lo stesso amore per l’uomo: "Il futuro della pace nel mondo dipende dal rafforzamento del dialogo e della comprensione fra le culture e le religioni… quella gioia e quella pace sono frutto della fede… Mi ha condotto l’amore di Cristo Salvatore, chiedendomi di uscire dalla mia terra per portare frutto altrove con la sua grazia, un frutto destinato a rimanere. Facendo eco alle parole del nostro Maestro e Signore, ripeto perciò anch’io a ciascuno di voi: ‘Alzatevi, andiamo!’. Andiamo fidandoci di Cristo. Sarà Lui ad accompagnarci nel cammino, fino alla meta che Lui solo conosce… E’ l’amore che converte i cuori e dona la pace… Il mondo può cambiare!".