Roma, giovedì 8 novembre 2012 – Lo scorso 25 ottobre è uscito in Italia, Amour, l’ultimo film di Micheal Haneke e Palma d’oro al festival di Cannes. Il regista austriaco è noto al pubblico e alla critica per la durezza delle sue storie, capaci di mettere a nudo la violenza dei valori contemporanei e i pregiudizi della società borghese.La Palma d’oro arriva dopo diversi riconoscimenti attribuiti dalla giuria di Cannes: nel 2001, La pianista” interpretato da Isabelle Hupper, aveva ricevuto il Gran premio della giuria. Nel 2005, il premio come miglior regia era stato assegnato a “Niente da nascondere”, un thriller psicologico con Juliette Binoche e Daniel Auteuil, girato a Parigi.

Ed è ancora a Parigi che è ambientato Amour. I tetti della città si intravedono dalle finestre dell’appartamento di Anne e Georges: i due anziani e colti protagonisti del film, interpretati da Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant. Una mattina, Anne, che per tutta la vita ha insegnato musica, avverte un malore passeggero. E’ il presagio della malattia che la porterà in poco tempo a perdere l’autonomia. La musica, che è stata centrale nella vita dell’anziana coppia, viene sostituita dai rumori della grande casa in cui protagonisti e spettatori rimangono confinati. In silenzio, sequenza dopo sequenza, Haneke ricostruisce la planimetria dei sentimenti di tutte le persone che transitano in quella casa. In primo piano, Anne e Georges. La prima è progressivamente annientata dal male che le impedisce di svolgere i gesti della vita quotidiana come leggere, pettinarsi, parlare. Georges è spettatore della malattia che trasforma la vita di Anne e la sua. La figlia, Isabelle Hupper, non accetta il cambiamento e non comprende quanto accade alla madre.

Com’era da attendersi, il regista di Funny games e del Nastro Bianco, descrive l’insensatezza del dolore in maniera secca, diretta. Quella che ci mostrano i due protagonisti non è l’ennesima “cerimonia degli addii” che redime e consola. Il sacrificio di Georges che assiste Anne non lo riscatta dalla sofferenza. E Anne vive in solitudine le trasformazioni prodotte della malattia. Tutti i personaggi sono isolati nel loro dolore esistenziale e l’Amore è semplicemente annientato dall’assenza. Eppure, è proprio il silenzio dell’assenza, che il regista sceglie anche per i titoli di coda, che fa risuonare la pienezza del legame tra Anne e George. E alla fine del film, all’interno della casa ormai vuota e senza rumori, Haneke rende il suo personalissimo omaggio a quel legame umano che porta due individui a condividere la vita.

Lilia Biscaglia