Una nuova ricerca conferma gli effetti di dipendenza del “junk-food”: un’alimentazione ricca di zuccheri, olio e grassi, è nociva per il fisico ma anche dannosa per il cervello

di Alice Di Mascio
redazione@lacittametropolitana.it

Roma, giovedì 22 aprile 2010 – Si torna a parlare del “junk-food”, il cibo-spazzatura, questa volta con un interessante esperimento su alcuni ratti di laboratorio, che ha rilevato quanto l’assunzione di determinati alimenti sia non solo nociva per il fisico in quanto causa primaria di obesità, ma anche dannosa per il cervello in quanto attiverebbe un circolo vizioso di computazione a livello neurale riscontrabile anche nelle dipendenze da alcune droghe.

Il meccanismo
In un articolo apparso di recente sulla celebre rivista scientifica britannica “Nature neuroscience” i due ricercatori dell’istituto Scripps di Jupiter (Florida) che hanno dato vita all’esperimento, Paul M. Johnson e Paul J. Kenny, spiegano nel dettaglio il meccanismo che avviene nel cervello dei ratti di laboratorio sottoposti per giorni a un’alimentazione ricca di zuccheri, olio e grassi. Si tratta dei principali ingredienti miscelati all’interno di molti snack e cibi altamente calorici come quelli dei fast-food, gli stessi che rendono alcuni sapori irresistibili al palato e che creano una forte sensazione di piacere e gratificazione provocando la tendenza a ripetere quell’esperienza quasi estatica.

L’esperimento
Dopo soli cinque giorni dall’inizio dell’esperimento, i ratti manifestano non soltanto un visibile aumento di peso, ma anche una tendenza alla compulsività nella ricerca e nell’assunzione di quel determinato cibo, mettendo in atto un comportamento riscontrato anche nei soggetti affetti da dipendenze da eroina e nicotina. Questo sarebbe dovuto al fatto che, come nelle dipendenze da droghe, con l’assunzione artificiale si inibisce la produzione naturale di oppioidi e dopamina nel cervello, creando con il tempo un calo dei recettori D2 di dopamina, che si attivano nel meccanismo della ricompensa e della gratificazione. Scatta a questo punto un vero e proprio circolo vizioso: per provare ancora un’esperienza sensoriale fatta di piacere e auto gratificazione parte la compulsività nel consumare il cibo-spazzatura e in misura sempre maggiore, con le inevitabili conseguenze dell’obesità e della dipendenza. Nell’esperimento con i ratti si è dimostrato inoltre che la dipendenza impedisce agli animali di smettere di consumare il cibo anche se sottoposti a pericolo e a dolore, proprio come nelle dipendenze da droghe. Sono stati collegati infatti i cibi dannosi a un dispositivo luminoso e a una conseguente scossa alla zampa dei roditori, che però hanno continuato a nutrirsi comunque, a differenza dei ratti sani.

Nessun parallelismo con il cervello dell’uomo
La ricerca di Johnson e Kenny è stata condotta su ratti di laboratorio. Non si hanno certezze sul parallelismo delle risposte del cervello umano. Ad eccezione forse del bizzarro esperimento del regista Morgan Spurlock che nel 2004, spinto da motivazioni più politiche che mediche, aveva fatto da cavia umana per dimostrare gli effetti altamente nocivi del cibo-spazzatura, ingurgitando per alcuni mesi solo cibo di una catena mondiale di fast-food nel suo film-documentario “Supersize me” e rilevando poi un aumento massiccio di peso, problemi gravi al fegato e anche sorta di dipendenza caratterizzata da disfunzioni a livello umorale e sessuale, al punto che uno dei medici che lo seguiva paragonò il suo folle esperimento alle vicende del film “Via da Las Vegas”, in cui il protagonista beve deliberatamente fino alla morte.

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