Roma, mercoledì 31 agosto 2011 – “Irene tutto qui?”, si domanda quasi in diretta sul suo blog Federico Rampini, l’inviato di Repubblica, dopo il passaggio di quello che avrebbe dovuto essere il più grande cataclisma della storia degli Stati Uniti d’America. Un evento storico e apocalittico non solo secondo i Media americani, sempre affamati di eccessi, ma anche per il Presidente Obama e per il Sindaco della Grande Mela Bloomberg. Prosegue Rampini: “Ora (alle 11.00 locali) i meteorologi ci dicono che Irene sta già lasciandoci, quanto meno per la parte più potente del suo impatto che già si dirige più a Nord, verso Boston. Pare che nelle prossime ore ci sarà vento molto forte (con i relativi pericoli: cadute di alberi ecc.), ma la pioggia dovrebbe diminuire d’intensità”

Per il giornalista tra la gente di Manhattan serpeggia il dubbio: “Era proprio il caso di paralizzare una città di 8,5 milioni di persone, chiudendo metrò ferrovie aeroporti? Alla fine l’Armageddon-Irene avrà fatto meno vittime di un weekend di controesodo sulle strade italiane?” Ma non solo. Era proprio il caso di bloccare per ore il traffico aereo e di invitare tutti i cittadini a fare scorte di acqua e generi alimentari per giorni? Il governatore del New Jersey aveva dichiarato: “Tenete pronto cibo e provviste per cinque giorni”. Il Sindaco Bloomberg in conferenza stampa aveva aggiunto: “Non finisce questa domenica, lunedì sarà caos nei trasporti pubblici, e interruzioni di corrente”. Niente di tutto questo è avvenuto. Ma a dispetto dello stop imposto alla città, c’è da credere che l’economia della Grande Mela ha ottenuto una grande iniezione di liquidità.

Pensa a 8,5 milioni di cittadini che si precipitano a fare acquisti per fronteggiare un’emergenza, pompata dai media e dai big della politica, quasi senza sosta per quattro giorni. Ce n’è per tutti. Dai mega empori della grande distribuzione, che finiscono le scorte e chiudono i battenti nella tarda mattinata di sabato 27 agosto. Per consentire ai dipendenti di raggiungere le proprie abitazioni. Ai piccoli venditori al dettaglio. “Code sterminate, ma cortesi, si snodano attorno ai micro-imprenditori che miracolosamente hanno tutto, mele e banane, carta igienica e bibite, batterie e torce elettriche, ombrelli e galosce”, scrive sempre Rampini su Repubblica domenica 28 agosto 2011 a pag. 3.

Ma pensa anche a quanti per evitare il cataclisma, avranno raggiunto amici e parenti lontano dalle zone interessate, così come consigliato dalle autorità, magari in treno o in bus. Oppure avranno affittato alberghi e pensioni. I venti rifugi di New York non hanno certo accolto tutti gli sfollati. E se alcuni sono rimasti in casa nonostante gli allarmi delle autorità, altri in zone limitrofe alle aree sfollate hanno preferito andarsene in luoghi sicuri. Biglietti e costi aggiuntivi da sostenere. E pensa ai tanti turisti, costretti a posticipare il rientro e a restare nella Grande Mela per un tempo non precisato. Dai due ai cinque giorni almeno, tra coincidenze e ritardi dei vettori. Con costi da sostenere per vitto e alloggio non previsti. È possibile paragonare i mancati ricavi di ristornati, cinema, pub e dello spettacolo dal vivo con i ricavi indotti dall’emergenza? La città di New York avrebbe speso sabato sera quello che ha speso per far fronte a Irene?

L’economia dell’emergenza l’abbiamo già vista in funzione con l’eruzione del vulcano Eyjafjallajokull in Islanda, che ha fermato il traffico aereo per giorni nei cieli d’Europa. Voli bloccati e centinaia di migliaia di turisti costretti a prolungare il soggiorno. Disastro economico o iniezione di liquidità per l’economia al dettaglio? Forse la seconda ipotesi è più probabile. Io e la mia famiglia (4 componenti), tra i malcapitati turisti di quel fatto, abbiamo sborsato circa mille euro in più, per rientrare in Italia da Parigi in treno. A conti fatti, se avessimo dovuto restare per altri 4 giorni, nessun aereo era previsto prima, avremmo pagato di più. In Italia e nel mondo l’economia dell’emergenza l’hai vista all’opera con il problema dell’aviaria quando famiglie e enti sanitari hanno fatto incetta di scorte, rivelatesi poi inutili. C’è da scommettere che d’ora in avanti le grandi emergenze continueranno ad allarmare milioni di consumatori.

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