Roma, lunedì 30 giugno 2014 – Al termine della fase a gironi del Mondiale, la rappresentanza americana era nutrita e folta. Ben 7 delle 16 squadre ammesse agli ottavi erano appunto sud americane. Argentina, Brasile, Costarica, Cile, Messico, Colombia, Uruguay. A queste si devono aggiungere gli Stati Uniti, presente con una squadra da non sottovalutare e interessante per i tanti, ottimi giocatori che include tra le fila. Solo sei le europee rimaste in corsa: Germania, Francia, Belgio, Svizzera, Olanda, Grecia. Due le africane: Algeria e Nigeria. Questo la dice lunga sul clima difficile e che può fiaccare il fisico e la corsa degli europei, non abituati a quelle temperature e a quelle latitudini. Se però le condizioni climatiche possono in parte spiegare la brutta figura di alcune squadre della Vecchia Europa che, seppur blasonate e dal ricco pedigree calcistico, non sono riuscite a imporre il loro gioco, nonostante una preparazione atletica condotta ad hoc. Dall’altro non hanno fermato squadre come l’Olanda, la Germania e la Francia, sulla carta forti tanto quanto il Brasile e l’Argentina, se non di più. In teoria il clima torrido e afoso dovrebbe sfavorire il collettivo in favore delle giocate individuali, con il singolo calciatore che conservando freschezza e atletismo riesce a procurare la giocata vincente. Eppure Olanda e Germania, che basano sul collettivo la propria forza, per il momento stanno conducendo un grande Mondiale.

Nelle prime due giornate degli Ottavi, la rappresentanza sud americana ha visto diminuire la propria presenza. Il Cile è uscito contro il Brasile ai rigori. L’Uruguay ha perso meritatamente contro la Colombia, forse tra le favorite per la vittoria finale. La Costarica ha rischiato contro la Grecia, salvandosi – è il caso di dirlo – ai rigori e grazie al suo numero 1 il portiere Navas, autore di grandi interventi. Il Messico ha perso contro un’Olanda scatenata, che pur giocando in orari proibitivi, ha mostrato una notevole tenuta fisica. Tutto il contrario dell’Italia, che non fa mai dell’atletismo e della corsa uno dei suoi strumenti di attacco. Oggi giocano Germania-Algeria e Francia-Nigeria. A prima vista sembrerebbero due partite a senso unico, ma questo Mondiale sta mettendo in mostra squadre che non hanno una grande tradizione calcistica, ma il cui movimento calcistico, grazie anche ai tanti giocatori espatriati nei campionati più importanti del Vecchio Continente, portano nelle rispettive nazionali tanta qualità, esperienza e offrono la possibilità di crescere e di evolversi. Basterebbe questa riflessione per spazzare via tutte le polemiche relative all’Italia e al pessimo risultato nella fase a gironi.

Non serve dire che il problema è perché in Italia giocano molti, troppi stranieri. Quanti ne giocano in Francia, Spagna, Germania, Inghilterra e Portogallo? Il Belgio gioca bene e sta andando avanti nel Mondiale, eppure tutti i giocatori più importanti militano in campionasti esteri. Stessa cosa dicasi dell’Olanda, i cui pezzi pregiati non giocano nelle squadre di club del proprio paese. E che dire allora di Colombia e Cile? I migliori sono altrove. Quando l’Italia ha vinto nel 2006 in Germania, quando ha vinto la Spagna in Sudafrica, quando siamo arrivati secondi agli Europei e prima ancora una volta la Spagna, la situazione era la stessa. Tanti giocatori stranieri comprati per imbottire le varie quadre di club nazionali. Non è lì il problema. Semmai nel gioco e nel fatto che, almeno in Italia si stenta molto a lanciare i giovanissimi in serie A. Siano essi italiani o stranieri. Questo è lo psicodramma nostrano. Quanti giovanissimi talenti Milan, Inter, Juve o Fiorentina hanno acquistato all’estero. Poco sfruttato perché giovanissimi. Ceduto ad altre squadre. E ora sono pedine importanti? Lo stesso Pepito Rossi, grande escluso dal Mondiale Azzurro, per essere rivalutato non ha dovuto andare a giocare all’estero? Il problema è che nel calcio, come nella stragrande maggioranza delle altre attività, si investe poco sui giovani. Quindi non li si lascia crescere con pazienza, forgiandoli per diventare campioni. Ma si aspetta che abbiano 23-24 anni per introdurli in pianta stabile nell’organico, in attesa che diano subito i frutti sperati. Cioè bel calcio, belle prestazioni, gol e prodezze.

Inoltre un altro grande sbaglio delle squadre di club o nazionali è l’eccessivo tatticismo che blocca il gioco. Si cerca di domare l’avversario bloccando il gioco, schierandosi in difesa. Non lo si aggredisce. Non si cerca di schiacciarlo con la forza. Non lo si affronta con coraggio, pensando che in fondo essendo un gioco di undici contro undici, alla fine se si prepara con la giusta dose di agonismo la partita si può anche rischiare di vincerla. Anche se ti chiami Sassuolo e affronti il Napoli, l’Inter o la Roma. Il tatticismo è la morte del gioco e anche la causa prima delle pessime figure incorse dall’Italia nel 2010 e nel 2014. L’Olanda da questo punto di vista insegna sempre. Non vince mai, o quasi mai. Però gioca e per questo tutti la rispettano.

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