Roma, lunedì 12 novembre 2012 – Caduto fuori dal tempo è un libro da leggere a piccole dosi. Dopo A un cerbiatto somiglia il mio amore (2008), David Grossman cerca nuove parole per raccontare il dolore più grande: la morte di un figlio. Lo scrittore israeliano, noto per il suo impegno pubblico a favore del processo di pace in Medio Oriente, ha perso il figlio Uri durante le operazioni militari dell’esercito israeliano nella guerra del Libano. Questa volta Grossman usa la lingua della poesia. Una scelta obbligata, secondo lo scrittore, perché “la poesia è più vicina al silenzio”. Ed è proprio per sfuggire al silenzio e all’immobilità della morte che, nel libro, un uomo si alza dalla tavola, saluta la donna e parte verso un viaggio che lo porterà “laggiù”, dove si trova il figlio che ha perso, alla ricerca di un confine tra mondo dei vivi e mondo dei morti. L’uomo comincia a girare intorno alla città e in questo suo vagare si unisce a lui una folla di personaggi che condividono lo stesso dolore.

Il Duca signore di quelle terre, una riparatrice di reti da pesca, un’ostetrica, un ciabattino, un anziano insegnante di matematica che risolve i problemi sui muri delle case. C’è anche l’uomo a cui è stato affidato l’incarico di scrivere le cronache cittadine e uno strano centauro con la parte inferiore del corpo che nel tempo si è trasformata in scrivania. Ciascuno ha la sua storia, chi ha perso il figlio per una grave malattia, chi in un incidente, chi in guerra. Donne e uomini che si muovono per andare “laggiù”, e che in questo movimento senza requie si oppongono al gelo dell’oblio. Come ha scritto Grossman presentando il libro (in Italia su Repubblica con la traduzione di Alessandra Shomroni). “L’esperienza dei vivi che toccano la morte, che sono toccati dalla morte, un’esperienza che un tempo mi sembrava sostanzialmente gelida, paralizzante e inanimata, nel corso della scrittura (e forse a causa di essa) si è rivelata complessa e articolata, dinamica e in costante evoluzione, venata di intimità, di nostalgia, di tristezza, di pienezza di vita e di vuoto di vita.”

Attraverso monologhi e dialoghi, i personaggi del libro parlano di sé, del desiderio di vedere il figlio un’altra volta, della melodia della vita che si è interrotta. Ognuno ha la sua voce, che è la voce della poesia. C’è molto vuoto nelle pagine di questa lirica corale. Poche parole sulla pagina bianca, che inducono a dosare la lettura, assaporando le parole di ogni singolo periodo.

Lilia Biscaglia