Roma, mercoledì 19 ottobre 2011 – Adesso è ufficiale: i ministeri di Monza erano solo un bluff. Mentre i sondaggi incominciano a far oscillare la forbice del gradimento tra l’8 e il 9%, un arretramento sensibile per la Lega, ma ancora contenuto rispetto alla doppia cifra raggiunta alle regionali del 2010, e al suo interno appaiono vistose le crepe che la percorrono, è notizia di oggi che il Tribunale di Roma ha annullato gli effetti dei decreti che istituivano le sedi periferiche dei ministeri a Monza, nella sede di Villa Reale. Arriva così un’altra dura tegola per il Carroccio, sempre più in difficoltà davanti ai propri elettori. Il ricorso contro i ministeri di Monza era stato promosso dai sindacati della Presidenza del Consiglio, dopo aver appreso della loro istituzione dai giornali e dai tg (fonte AdnKronos). La decisione di spostare alcune sedi di rappresentanza dei ministeri, così li aveva sempre definiti Berlusconi, era stata portata avanti senza coinvolgere le organizzazioni sindacali. Ora un decreto del giudice del lavoro, depositato in mattinata ha annullato gli effetti dei provvedimenti, “stabilendo la chiusura delle sedi periferiche”. E così dopo la festa con tanto di taglio del nastro, dichiarazioni di gioia e titoloni sul giornale di partito, arriva la doccia gelata.

L’abbraccio con il Pdl, a cui l’ha votata il Senatur (o forse i suoi più stretti consiglieri politici), rischia di far più male del previsto al partito. La base ormai contesta a viso aperto il Segretario Federale, mentre lo scollamento tra l’ala maroniana e quella del cosiddetto Cerchio Magico è sempre più profondo. Una situazione inedita per un partito monolito e compatto come la Lega. Le troppe leggi ad personam votate e la sete di poltrone di alcuni esponenti hanno estraniato il partito dai suoi elettori. Berlusconi ha sempre usato l’arma a doppio taglio dello spot politico e adesso, a causa del suo abuso, pochi elettori sono ancora disposti a credere in lui. Ma che sia arrivato ad utilizzarla anche la Lega, che si è sempre dichiarato e ancora si dichiara il partito del fare, dimostra la deriva a cui ormai è costretta. Da partito pragmatico, pronto a turarsi il naso e ad appoggiare chiunque gli avesse consentito di attuare il proprio programma federalista, oggi appare più il partito del dire. E soprattutto un partito “nudo”, quanto Berlusconi davanti al suo elettorato. Il Federalismo si sta dimostrando una parola vana, che richiede più sacrifici che benefici. Dopo dieci anni di governo e di dichiarazioni, sembra poco credibile che ancora non sia stato attuato. La dirigenza però chiede tempo. Ma quanti dei suoi elettori sono ancora disposti a concederglielo? e adesso i ministeri si rivelano per quello che erano una boutade bossiana per soffiare un po’ di fumo in faccia ai militanti, in un momento difficile, quando cioè lo scorso voto amministrativo ha rivelato il Pdl e la Lega in calo di fiducia presso il proprio elettorato.

Ma se andiamo ad analizzare nel profondo, la “berlusconizzazione” del partito leghista non si ferma solo alla strategia mediatica degli annunci, o delle smentite. Si spinge fino a far eleggere per acclamazione, senza voto formale e senza una rosa di candidati, il segretario provinciale di Varese, in un momento in cui la base chiede maggiore partecipazione alle scelte democratiche. E’ la stessa strada scelta dal Pdl, che ha eletto un Segretario Nazionale, Angelino Alfano, candidato unico alla massima carica del partito, per acclamazione diretta. Stesse modalità, stessi atteggiamenti di insofferenza verso le correnti, che sia Berlusconi, sia Bossi negano che all’interno dei rispettivi movimenti. Ma di fatto entrambi gli schieramenti appaiono divisi in profondità. È il destino del partito monolitico, fondato sulla sola personalità del capo, il quale, se mal consigliato o non più in grado, non di prendere le giuste decisioni, ma di avere il carisma necessario per farle accettare, è destinato a sfarinarsi. Però nella Lega in questo momento la maggioranza della classe dirigente locale e dei militanti di base conferiscono prestigio e carisma a Bobo Maroni e sono pronti a seguirlo in un ipotetico strappo da Bossi. Maroni potrebbe impedire lo sfarinamento della Lega. Ma deve agire. Ha in mano il biglietto della lotteria, ma deve incassarlo. E per farlo deve sacrificare Bossi, che ormai di suo non ha più nulla da offrire se non il simbolo di quello che è stato.