Roma, mercoledì 1 febbraio 2012 – “La compassione è la nostra nuova moneta” tale scritta spuntava da una scatola di cartone per pizze al presidio di Zuccotti Park circa quattro mesi fa (foto di J.Ayers). In effetti quando un miliardo di persone nel mondo giunge al di sotto della soglia di povertà – dati ILO 2012 – occorre fare qualcosa. Ora che l’economia americana è al crollo si discute sulla necessità di aprire ad una nuova moneta sostitutiva del dollaro nelle transazioni a carattere internazionale. Ci ha pensato il movimento ‘Occupy’ ad introdurre l’idea di una nuova moneta a tasso d’interesse negativo per contrastare la crisi che da un triennio sta attanagliando il mondo. Si tratterebbe di un nuovo sistema economico-finanziario basato sulla solidarietà piuttosto che sul profitto.  L’ispiratore di questa iniziativa è lo svizzero di origine austriaca Roland Alton Scheidl, professore di Etica dei Media che in occasione del presidio di fronte al WEF con il suo perentorio “Siamo qui per parlare coi media non con il World Economic Forum” non ha mancato di esternare, a nome del suo movimento, la propria disapprovazione nei confronti del sistema capitalistico basato sullo sfruttamento delle ricchezze al di là di ogni valore etico.

 In effetti ‘Occupy’, al pari del movimento di rivolta del 2001 in Argentina, pone la necessità d’affermazione di un discorso di fratellanza tra le persone, che preveda tra le altre cose una nuova negoziazione del debito. Questo movimento di protesta internazionale pone al mondo diversi interrogativi, cos’è veramente ciò di cui dobbiamo tener conto? Sulla base di quali principi, e da chi, vengono prese le decisioni che incidono sul nostro avvenire? E soprattutto chiede al mondo se sia giusto accettare che una persona possa essere deprivata della propria casa o addirittura imprigionata sulla base di un debito di natura economica. Esistono milioni di anziani, lavoratori, studenti al mondo pari a ‘desaparecidos’ in quanto emarginati dal sistema economico capitalistico. Ma essi non è che debbano veder decaduti i propri diritti solo per il semplice fatto di essere poveri. Il movimento, in nome della lotta alle disuguaglianze, per offrire il proprio reale sostegno ai più bisognosi di qualsiasi razza o condizione sociale, ha indetto una forma di protesta a base di occupazione di migliaia di abitazioni in disuso o confiscate, che in breve tempo, grazie al tamtam mediatico, si sta rivelando vincente.

Quello che si può constatare è che finora non ha mai avuto luogo una sollevazione popolare così vasta – più di ottanta Paesi – capace di mobilitare manifestanti in ogni angolo del pianeta ed ergersi a simbolo dell’anticapitalismo a livello mondiale. Importante è la trovata rispettiva ad una sorta di “microfono popolare” in base a cui i manifestanti non solo ascoltano quanto vien detto alla folla ma lo amplificano ripetendolo a loro volta, dando maggior vigore al proprio spirito di partecipazione. Gli attivisti dando vita a sentimenti sinceri di reciprocità sono riusciti a sensibilizzare nuovamente l’opinione pubblica su temi importanti quali la necessità del senso di coesione sociale e di reale democrazia. La convinzione di fondo è che in Paesi civili alla base di tutto tra esseri umani va posta la relazione, il sostegno al più debole e non il semplice guadagno. Concludiamo con la recente frase dell’indiano Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International “All’oggi ovunque puoi incontrare individui che hanno perso il lavoro, la casa e lottano…per mangiare. Non puoi non accorgerti dell’impatto di ciò sui diritti fondamentali delle persone”.