Banche sull’orlo del fallimento, che da un giorno all’altro si ritrovano a macinare utili miliardari. Un miracolo? no,solo un trucco. Nuove norme hanno permesso agli istituti di credito americano di sopravvalutare i profitti e sottovalutare le passività. In America una finanza trasparente rimane ancora un sogno
di Andrea Aidala
aaidala@lacittametropolitana.it
Roma, venerdì 24 aprile 2009 – Citigroup nel primo trimestre 2009 ha fatto registrare profitti per 1,59 miliardi di dollari, Bank of America un utile pari a 4,2 miliardi di dollari, e pensare che solo qualche settimana fa gli stessi istituti tremavano all’ombra di un probabile fallimento. Com’è potuto accadere che i maggiori istituti finanziari statunitensi, dichiaratamente sull’orlo della bancarotta, da un giorno all’altro si siano trovati a contare utili miliardari? Eppure la crisi persiste, le borse continuano a soffrire e il crak Lehman brothers appare ancora vivo nelle menti dei brokers, la maggior parte dei quali restii ad acquistare ma per nulla a vendere. Alla lettura di questi esaltanti numeri molti sono rimasti sbalorditi, alcuni dubbiosi, altri hanno gridato al miracolo. Forse di un miracolo si è trattato, però di questo non bisogna ringraziare il cielo ma Washington. Nuove norme introdotte dal Financial Accounting Standard Board, l’istituto che negli Stati Uniti si preoccupa di definire le regole contabili che le società hanno l’obbligo di seguire per comporre i propri bilanci, hanno permesso di trasformare i conti delle banche. Come? Utilizzando prevalentemente due piccoli ma rilevanti escamotage che Alberto Bisin, professore alla New York University, sulle pagine de “La Stampa”, non ha esitato a definire semplici trucchi.
Entriamo nel merito.
Le nuove norme concertate dal FASB “hanno permesso alle banche di contabilizzare le attività <<tossiche>> ancora nei propri bilanci, non al valore di mercato (praticamente inesistente), ma ad un valore che le banche stesse ritengono accurato in presenza di una crisi di liquidità”. Il Governo americano ha dato quindi la possibilità agli istituti di credito di decidere autonomamente il valore di titoli che nelle contrattazioni valgono meno che niente. Ma non è tutto. Non si è concesso alle banche solamente, come dice lo stesso Bisin, di sopravvalutare le proprie attività, ma anche sottovalutare le rispettive passività permettendo loro di contabilizzare al valore di mercato il proprio debito obbligazionario sfruttando il crollo degli indici. Ecco qui trasformata una società sull’orlo della bancarotta in una società forte,solida e dai cospicui profitti.
Fino a poco tempo fa gli economisti di tutto il mondo, anche quelli del Tesoro americano, discutevano su come regolamentare il mercato finanziario e fare uscire dalle segrete delle banche i titoli tossici posseduti fino a proporre di costituire “bad banks” che raccogliessero tutte le scorie che hanno gettato nel panico la finanza mondiale, oggi tutto sembra essere stato inutile. Si è parlato tanto, si sono fatti summit internazionali, G20, G8, ma nei propri paesi i leader continuano a fare ciò che ritengono più opportuno. Il sospetto che la Casa Bianca voglia difendere i baroni di Wall Street esiste e potrebbe minare la credibilità dello stesso stress test organizzato dalle autorità statunitensi per mettere alla prova la solidità degli istituti bancari nell’eventualità di un aggravamento della crisi.
Ma che fine ha fatto la trasparenza nella politica e nella finanza promessa dal candidato e poi presidente Obama? È stata dimenticata o diventa indispensabile solo quando al banco degli imputati siedono Gm, Ford e Chrysler?