Alla mostra dedicata al capoluogo abruzzese e inaugurata lo scorso 31 marzo al Palazzo “Ferdinando di Savoia” in mostra due opere dello scultore romano, influenzato dall’incontro fortunato con alcuni  grandi dell’arte contemporanea, come Guttuso, Fazzini, Greco e Crocetti.

di Anna Schiano
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Roma, 13 aprile 2010 – Terra e fuoco sono elementi imprescindibili per chi è avvezzo a plasmare opere d’arte. La pietra  (come quella viva di Lecce) e il fuoco (quello che arde nei forni per fondere i metalli come bronzo e rame) sono le materie prime che animano lo spirito passionale e antico di Giorgio Bisanti, scultore romano, artista ufficiale della Polizia di Stato.  Alla Mostra “L’Aquila non si muove. L’immutabile identità di un popolo”, curata dalla critica Cecilia Paolini, organizzata dalla Galleria Pignatelli in collaborazione con il Ministero dell’Interno, e ospitata presso il piano nobile del Palazzo “Ferdinando di Savoia”, è possibile ammirare due opere dell’artista: “I lottatori” e l’inedita “Il pescatore”. Il vernissage di inaugurazione si è tenuto il 31 marzo scorso e l’allestimento sarà aperto ai visitatori, con ingresso gratuito, fino al prossimo 16 maggio.

L’incontro con alcuni grandi dell’Arte ha contribuito ad arricchire il substrato culturale e la versatilità nel modo di operare di Giorgio Bisanti. La sua storia comincia quando un giorno, da ragazzino, seguendo suo padre fisioterapista, si imbatte nel pittore Renato Guttuso e diventa un assiduo frequentatore del suo studio. In quel periodo conosce lo scultore Pericle Fazzini, che apprezza un suo modello in cera, che poco dopo verrà fuso in maniera sperimentale con scarti di rame e bronzo per diventare “il torello” nel 1984. L’anno dopo si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Roma con il massimo dei voti. Suoi insegnanti sono gli scultori Emilio Greco e Venanzo Crocetti. L’incontro con artisti della levatura di Guttuso e Greco lascia il segno: dei disegni graffianti del primo  resta una traccia nei dipinti di donne nude con i capelli raccolti. Del secondo l’eleganza nel raffigurare le linee morbide (“La posa” del 1991). Fondamentali poi gli incontri con i critici d’arte Lorenza Trucchi e Guido Giuffrè.

L’affinamento della tecnica e della forma si legge in alcune opere di stampo cubista e genio “picassiano” come “La dama” del 1997, “I lottatori” e “Il cavatore di pietra” del 1998, “Il bacio” (o “L’abbraccio”) del 2002, tutti realizzati in pietra viva leccese, una materia che racconta le origini mediterranee del suo creatore. L’estro per la rappresentazione del mondo femminile è “atavica”:  nelle visite alla nonna romagnola, durante il riposo pomeridiano le toglieva le coperte per scoprirne “le rotondità lisce e bianche come il latte”. Il ricordo si legge in  quasi tutti i suoi lavori che, oltre a raffigurare donne dalle linee generose, hanno sempre i capelli legati in uno chignon o una capigliatura abbozzata (“il riposo della modella” del 1997). L’indagine delle radici ancestrali dell’uomo converge nello studio dell’arte millenaria, etrusca e magno greca, dove il mistero che avvolge le opere del passato si unisce alla ricerca di materiali rugosi e segnati dalle ere geologiche. Da questo sedimento “partorisce” nel 1990 “Penelope”, nel 2002 “Testa muliebre”, nel 2004 “Donna salentina” e “La modella” e nel 2005 “L’orientale”. La sfera religiosa ha un ruolo importante nelle sue produzioni, sia perché alcune di esse sono realizzate su commissione, sia perché essa è radicata nell’ educazione di impronta cattolica e nella visione “materna” che ha della Vergine. Negli ultimi anni ha deciso di mettere da parte gli stimoli esterni per concentrarsi su una sfera intimista e trattare temi sociali come i conflitti e l’esaltazione della gioia di vivere. Un momento di gestazione che ci lascia in attesa di nuovi frutti.

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