Uno dei più divertenti testi scritti dal grande dandy inglese è stato presentato nella elegante cornice del piccolo Teatro Campo d’Arte di Roma con un allestimento che ha coinvolto anche gli spettatori

 

di Luisa Deiola
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Roma, martedì 8 dicembre 2009 – Al Piccolo Teatro Campo d’Arte di Roma dal 2 al 6 dicembre è andato in scena “L’importanza di chiamarsi Ernest” di Oscar Wilde per la regia di Massimiliano Di Stefano. Alla commedia non si assiste passivamente, la si vive in prima persona sin dal primo istante in cui si varca la soglia del piccolo e suggestivo teatro: un sedicente maggiordomo accompagna gli spettatori in un salotto vittoriano annunciandoli platealmente e offrendo loro pietanze. Inizia lo spettacolo e la trama si snoda in modo veloce e esilarante con gli attori che stanno spalla a spalla al pubblico e lo allietano con la tipica ironia e loquacità dei signori dell’ottocento. La scena si trasferisce poi nel “giardino”, che è in realtà il palcoscenico vero e proprio del teatro di campo dei fiori, dove si conoscono gli altri personaggi, tutti caratteristici e rispecchianti a pieno la società dell’epoca. Se Jack Worthing ritrae il borghese senza una famiglia ed un cognome blasonato, colmo di schemi sociali e della sua seria apatia, Algernon Moncrieff è il classico aristocratico intriso di narcisismo e di apparenza, che vive per bumbureggiare e dà importanza all’avere un nome. Ed il nome giusto per un buon marito sia per l’aristocratica Miss Gwendolen che per Miss Cecily è Ernest, che è sinonimo (il collegamento onomatopeico è immediato in lingua inglese, vedi honest) di onestà, rispettabilità e credibilità. Qualità che Jack ricerca disperatamente non perché ne sia convinto, ma solo perché consapevole del valore sociale di tali qualità. Così fuoriesce dalla sua “capiente valigia” nella quale da piccolo è stato abbandonato e privato della sua identità, e  mediante spassose bugie ed un tentato battesimo, cerca di sposare la bella Gwendolen. Perché per un buon matrimonio e dunque un pieno inserimento sociale servono un buon nome appunto, una buon patrimonio ed una buona famiglia alle spalle. Lo scontro è tra aristocrazia e borghesia, tra apparenza e sostanza, tra ipocrisia e verità. La magia artistica, che è propria del grande teatro, sta nel far percepire, tra grosse risate, queste tematiche attuali.

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