Intervista a LaKarl Du Pignè interprete di “Maryza, memorie di una drag queen”, una esilarante commedia sull’universo del travestitismo, andata in scena al Teatro Argot di Roma. “Potrei provare a travestirmi da albero, o da yak ma che senso avrebbe? Imito quello che conosco, che amo e che è al mio opposto. Così non è più opposto ma vicino”

di Luisa Deiola
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Roma, 4 marzo 2010 – Dal 23 febbraio al 3 marzo è andato in scena al teatro Agorà di Roma: “Maryza, memorie di una drag queen”, scritto da Laura Canestrari e Gianluca Reina con LaKarl Du Pignè, Marlene Drag Queen, Chiara Canitano, Gianpiero Pumo e Chiara Pavoni. Anima dello spettacolo è Maryza (LaKarl Du Pignè), eccentrica drag queen, che si guadagna da vivere con il mestiere più antico del mondo. Il suo sogno però è sfondare nel mondo dello spettacolo. A causa di un simpatico equivoco finisce per fare la colf a casa di Luisa (Chiara Canitano), una ragazza completamente presa dal  lavoro che dimentica la sua femminilità e il suo fidanzato Giacomo (Gianpiero Pumo), impegnato nella carriera di attore. Maryza, con la sua esaltante ironia, i suoi modi “femminili”, si trova così immersa nel circuito amoroso dei due ragazzi con i quali stabilisce un rapporto affettuoso. Affiancata dalla sua amica Tina (Marlene), distratta e svampita, Maryza cercherà in ogni modo di allontanare dalle grinfie di Benedetta (Chiara Pavoni) il ragazzo di Luisa.

Lo spettacolo è un esilarante intreccio tra il mondo “normale” e giornaliero della vita domestica e l’universo notturno e pazzoide delle drag queen, che si rivela un mondo colmo di allegria e comicità. Dietro alle maschere delle drag si scopre un universo genuino, fatto di valori e veri sentimenti. Se per Giacomo il modo per sfondare nel mondo dello spettacolo e allontanarsi dall’indifferenza di Luisa è abbandonarsi all’opportunismo di Benedetta, la vita delle drag queen è basata su dei valori, anche se rispettati con addosso parrucche e paillettes simbolo di esaltazione, eccesso e libertà. Saranno proprio i pizzi, i merletti e i tacchi delle finte donne Maryza e Tina a far riscoprire a Luisa l’essenza della sua femminilità. In un vortice inarrestabile di canti, coreografie, battute e prese in giro, saltando tra la monotonia delle mura domestiche al divertimento dionisiaco dei locali notturni, Maryza mostra una maniera di condurre l’esistenza basata sul gioco, la sincerità e la necessità di gestire le cose in modo verace e spontaneo. La sua immensa parrucca blu svetta sulla scena assieme ai tacchi di Tina, i cui modi svampiti contribuiscono a rendere lo spettacolo un fiume in piena di risate. Uno spettacolo divertente che fa riflettere sulla superficialità del mondo “normale”, basato sempre di più sull’apparenza che sulla sostanza.

La Karl Du Pignè
"Ho iniziato a fare la drag queen alla fine degli anni Ottanta, inizio anni Novanta, anche se il vero battesimo è stato con le prime serate di Muccassassina alla discoteca Castello con Vladimir Luxuria. E’ da quel momento che il personaggio è nato e si è evoluto fino a diventare La Karl Du Pigné".

Che significato ha a livello inconscio sentire la necessità del travestimento?
L. Per un po’ di tempo ho creduto che travestirsi significasse non accettare la mia parte quotidiana e, mi si lasci passare il termine, "normale". Ma ho scoperto con il tempo che queste due parti di me sono compenetrate l’una con l’altra e che solo insieme hanno un senso.

Perché è un travestimento incentrato sull’imitazione della donna?
L. Potrei provare a travestirmi da albero, o da yak ma che senso avrebbe? Imito quello che conosco, che amo e che è al mio opposto. Così non è più opposto ma vicino.

La drag queen è un mestiere notturno, quando poi ti togli la maschera come prosegue la tua giornata? Essere drag queen significa esserlo interiormente a tempo pieno o si limita al travestimento serale?
L. Quando il lavoro è notturno la giornata non prosegue: me ne torno a casa, stanca, affaticata e soddisfatta, mi stucco, se ho voglia mi faccio un piatto di pasta e poi mi butto nel letto.

L’obiettivo della drag è la seduzione? Il gioco? La presa in giro?
L. Per quanto mi riguarda più il gioco e la presa in giro. Il mio personaggio si muove fra le righe dell’ironia e del buonumore. Poi magari qualcuno viene anche sedotto dal mio personaggio, dalla vitalità con la quale sto su un palco, dalla naturale simpatia che ispiro, dalla pia, fantastica illusione con cui dico tutte le scemenze che dico. L’amore ed il fascino hanno vie strane e misteriose per palesarsi. Perchè non perdere la testa per un fustacchione di due metri e venti in parrucca blu?

Pensi che essere drag significhi abbracciare una sorta di filosofia di vita?
L. Lo penso profondamente: due armadi, due guardaroba, due modi di parlare con la stessa persona in borghese e en travesti. Un lavoro di giorno, il lavoro di drag queen, il teatro. Come potrei fare tutto questo senza aver ben presenti obbiettivi e mezzi per raggiungerli?

Nello spettacolo ad un certo punto dici che le drag queen portano amore, serenità, gioia. Puoi arrivare a dire che essere drag queen significa anche avere un certo tipo di ruolo, benefico, all’interno della società?
L. Favolose si ma non esageriamo! Certo, di tanto in tanto partecipo a serate benefiche (penso per esempio al 1° dicembre oppure alle manifestazioni in occasione del Romapride) Quello che veramente mi interessa è far passare il messaggio che la drag queen è un animale da palcoscenico, che ama divertirsi e far divertire.

Quali sono le dinamiche dell’ambiente? C’è invidia? Solidarietà?
L. Esattamente come in ogni altro ambiente! Basta sapersi ritagliare un proprio spazio da gestire. Lavorare con chi ha le tue stesse modalità e persegue stessi obbiettivi.

Per quanto riguarda lo spettacolo, come è nato il progetto?
L. L’idea è venuta agli autori dopo aver partecipato ad una serata che organizzo io, il Sanremodrag, una sorta di kermesse di drag queens che si sfidano per ottenere il titolo di MissSanremoDrag.

Con Marlene, l’attrice in scena assieme a te lavori quotidianamente?
L. Si, abbastanza spesso e poi considera che io e Marlene abbiamo anche condiviso un appartamento insieme per più di un anno, quindi alcune delle dinamiche dello spettacolo ce le siamo vissute anche personalmente.. immagina due drag queens che dividono la stessa stanza…. un delirio!

Cosa pensi dello spettacolo? Ritieni sia una descrizione esaustiva del tuo mondo?
L. Lo spettacolo è scritto benissimo, molto godibile e divertentissimo. Rappresenta uno spaccato sulla vita delle drag queens, con situazioni al limite del paradosso ma proprio per questo teatrali. In fondo si tratta anche di uno spettacolo didascalico, dovrebbe insegnare agli spettatori a riflettere che le persone si amano, si odiano, si incontrano e si dividono e questo a prescindere dalle scelte sessuali e di vita.

Che effetto ha avuto all’interno dell’ambiente delle drag queen?
L. Dagli attestati di stima e di affetto credo che sia stato ben accolto. D’altronde racconta una storia dove le drag queens sono vincenti.

Hai fatto una scuola di recitazione? Essere drag queen significa anche saper recitare?
L. No, ho solo avuto la fortuna di lavorare con persone di teatro di grande livello, che mi hanno dato grandi opportunità, pur non avendo io nessuna esperienza, primo fra tutti Augusto Zucchi che mi ha scelto per interpretare una drag queen in una rielaborazione dell’Impresario delle Smirne di Goldoni. Una drag queen dovrebbe sapersi muovere sul palco senza tentennamenti ed in grado di interagire con il pubblico.. ma recitare francamente è altra cosa, anche se saper gestire il palco durante uno spettacolo drag è un po’ fare teatro e recitare.

Che progetti hai per il futuro a livello teatrale?
L. Ho in lavorazione un altro spettacolo sul mondo delle drag queen, che dovrebbe debuttare a maggio… ma non ne parlo per scaramanzia!

Nella scuola che hai fondato – drag queen college – si insegna anche recitazione? E’ una scuola aperta a tutti? Ci sono molti iscritti?
L. Il drag queen college è una scuola che da un’infarinatura generale su cosa dovrebbe saper fare una drag queen. Accanto al corso di trucco, di sartoria, di portamento, di playback, c’e’ anche la gestione del palco e la creazione del proprio personaggio che parte dalla caratteristiche singole di ogni drag queen. Quindi non propriamente un corso di recitazione ma si cerca di stimolare e incanalare le specifiche individualità dei partecipanti anche attraverso l’uso di registri differenziati. Alcune drag queens funzionano meglio se creano un personaggio ironico, altre trasgressivo, altre ancora danno il meglio negli show. Un’impostazione "teatrale" aiuta a definire la propria singolarità.