In anticipo alla festa della donna, ogni anno l’Inca Cgil organizza una manifestazione dedicata alle donne, quelle soprattutto che nel corso delle loro vita quotidiana si sono trovate e si trovano a combattere contro ogni forma di illegalità e ingiustizia

Roma, venerdì 5 marzo 2010 – “Mafia” non solo come gruppo di clan ma anche come cultura e comportamento intrinseci nella mentalità di migliaia di cittadini italiani, sono i temi principali della manifestazione “Non solo 8 marzo 2010 – La forza e la speranza delle donne contro le illegalità”. Svoltasi questa mattina nel suggestivo scenario dell’Acquario Romano, è nata nel 1994 per iniziativa dell’ Inca- Cgil con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi che investono la vita delle donne, non solo come madri, ma come lavoratrici e cittadine con pieni diritti. Come ogni anno durante questo incontro viene assegnato il Premio “Non solo Mimose” a due persone o associazioni che si sono distinti per l’impegno e il coraggio nel dare un contributo politico e culturale alla società italiana. Quest’anno il premio è andato all’associazione “Placido Rizzotto” e all’associazione “Libera” associazioni che hanno creato delle cooperative sfruttando le terre confiscate alla mafia. A presiedere la giornalista Rai Maria Cuffaro, moderatrice degli interventi delle invitate che grazie al loro operato sono testimonianze di quotidiane lotte contro le illegalità. Da esempio Carolina Girasole, sindaco di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, che ha spiegato le sue difficoltà nel gestire il suo lavoro a causa del imperversare di una cultura sempre più “corrotta”, anche delle persone più normali. Ha raccontato il suo tentativo di contrastare ogni giorno un consiglio comunale, che non ama le “regole”, anche quelle più ovvie come il pagamento delle tasse. Evidenziando così una realtà che ha ormai superato i confini di qualsiasi forma di legalità e giustizia sottolineando l’impossibilità di una regione come la Calabria di trovare l’occasione di un eventuale e sperato sviluppo economico e civile. Queste difficoltà che si incontrano davanti ogni tipo di ingiustizia, sono alla base delle storie di altre donne come Stefania Grasso, responsabile di Libera Memoria, che ha raccontato il dramma vissuto venti fa anni a Locri, quando la ’ndrangheta uccise il padre artigiano per essersi opposto al racket, e le difficoltà di andare avanti. O come un’altra donna, giunta dalla Nigeria, Isoke Aikpitanyi, una delle tante vittime del dramma della tratta degli immigrati che ancora in Italia non è preso in seria considerazione. Da questi racconti e da tanti altri non si può non analizzare quel senso di profonda crisi etica e morale che ha ormai preso piede nel nostro Paese tanto da superare il confine di ogni sfera politica, sociale, e culturale arrivando a confondere addirittura il giusto con l’ingiusto.
